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vangelo del 15 maggio 2022. V Domenica di Pasqua

comando nuovo.jpgVangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 13,31-38

31 Quando dunque fu uscito, Gesù dice: Adesso fu glorificato il Figlio dell’uomo e Dio fu glorificato in lui. 32 Se Dio fu glorificato in lui, allora presto Dio lo glorificherà in sé e subito lo glorificherà. 33 Figlioli, ancora per poco sono con voi. Mi cercherete e, come dissi ai Giudei, dove io me ne vado voi non potete venire. Lo dico adesso anche a voi. 34 Vi do un comando nuovo: che vi amiate gli uni gli altri, come io amai voi; così anche voi amatevi gli uni gli altri. 35 Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri. 36 Gli dice Simon Pietro: Signore, dove te ne vai? Rispose Gesù: Dove io me ne vado, tu non puoi seguirmi adesso, ma mi seguirai più tardi. 37 Gli dice Pietro: Signore, perché non posso ancora seguirti? Io porrò la mia vita per te. 38 Risponde Gesù: Tu porrai la tua vita per me? Amen, amen, ti dico: non canterà il gallo prima che tu mi abbia rinnegato tre volte.

Lectio di don Alessio De Stefano

Come restare uniti a Gesù glorificato (13,31-38) - Dopo l’uscita di Giuda nella notte iniziano, nel segno lumi­noso del linguaggio della «glorificazione», i discorsi con i discepoli dopo la cena. La morte di Gesù non è la fine di tutto ma il sigillo della sua rivelazione, lo spazio della «glorificazione» ormai compiuta (vv. 31-32), anche se la necessità che Gesù se ne «vada» implica che i discepoli non possano più seguirlo come hanno fatto prima (v. 33); l’obbedienza al comanda­mento nuovo donato da Gesù (vv. 34-35), però, identificherà ancora i discepoli davanti a «tutti» e li terrà uniti al loro Maestro e Signore nonostante la separazione imposta dalla sua partenza; lo stesso dialogo con Pietro, che ne annunzia il rinnegamento (vv. 36-38; cf Mt 26,33-35; Mc 14,29-31; Le 22,33-34), conferma l’impossibilità per i discepoli di vivere fino in fondo la sequela di Gesù prima della sua Pasqua ma, al contempo, contiene la promessa di una nuova possibilità di seguirlo dopo che tutto sarà compiuto. Il comandamento dell’amore è il filo conduttore e la chiave di lettura di eventi e parole. È nell’amore con cui resta fedele fino alla fine al Padre e agli uomini che Gesù, Figlio dell’uomo, «è glorificato»; è l’amore più forte della morte che consentirà ai discepoli di vivere ancora nella comunione con il Risorto; è ancora l’amore, sperimentato come perdono senza limite, che consentirà a Pietro di ricominciare la propria seque­la dopo averla fallita e di dare veramente la propria vita glorificando Dio a immagine del suo pastore (cf 21,15-19). Legata indissolubilmente all’uscita di Giuda dalla comunità e, dunque, al suo tradimento, l’evento della «glorificazione» simultanea di Dio e di Gesù appare in tutta la sua profondità. Il fatto che esso ven­ga proclamato come già accaduto al presente («Ora è stato glorificato il Figlio dell’uomo e Dio è stato glorificato in luì!») significa che, posto con il tradimento di Giuda l’inizio della passione, tutto l’evento pasquale può essere guardato come già compiuto. Ma è proprio l’inizio che ne dice la pro­fondità: tutta la dignità umana del Figlio dell’uomo, il suo «peso» o l’imponenza della sua «gloria», si afferma proprio nel momento in cui egli si lascia consegnare-tradire; con­siste, anzi, nella sua capacità di reggere al tradimento e nel trasformarlo in luogo di dono e di amore. Gesù, dunque, riconosce nella storia di passione che ha inizio con il gesto di Giuda, l’evento in cui tutto ciò che egli è e ha preteso di essere si affermerà in tutta la sua pienezza. Nel consegnarsi liberamente alla morte per la vita dei suoi, Gesù riconosce tutta la propria exousia sovrana e lo svelamento della pro­pria dignità (cf 10,10-11.18; 13,1-5). Ma anche il «peso» di Dio esplode nella sua storia di passione. Non solo la gloria di Gesù è in ballo qui, ma l’essere stesso di Dio e ciò che da­vanti a Dio vale. Per Gesù, nella morte che egli liberamente ha scelto di affrontare, è Dio stesso che vede riconosciuto il proprio peso e l’imponenza del suo essere: non certo nel senso che nello schiacciamento dell’uomo Dio affermi se stesso, ma nel senso che, nella libera scelta del Figlio dell’uomo fedele fino alla fine, Dio riconosce perfettamente se stesso (cf 12,28) e viene manifestato al mondo per quello che è, nella sua vera «gloria» che è quella d’amare, la stessa gloria che trasfigura Gesù pur nel momento del suo massi­mo fallimento. Nella storia di Gesù si compie la reciproca glorificazione di Dio e del suo Servo Israele (cf Is 49,3.5; 52,13), storia di amore, di elezione e di comunione a dispetto della sofferenza e della morte. Il «breve tempo» che ancora lo vede accanto ai suoi come nel passato è il tempo sufficiente perché la parola dell’amore, come comandamento nuovo, si radichi nel loro cuore e per­metta loro di vivere la comunione pur nella distanza scavata dalla morte. Il «cercare senza trovare», che accompagnava la parola enigmatica sulla sequela quando essa era stata rivolta ai Giudei (7,33; 8,21), sparisce ora che essa viene nuovamente rivolta ai discepoli. Gli uni e gli altri devono affrontare lo scandalo della morte del messia. Ma, a differenza di quelli, questi sanno che nell’amarsi reciprocamente e nell’agire tra loro «così-come» (kathόs) il Signore ha agito con loro amandoli fino alla fine, saranno «riconosciuti» come suoi discepoli e, dunque, continueranno in se stessi l’opera di rivelazione e «glorificazione» del Padre e del Figlio. Il «come» non è primariamente esemplare, imitativo, ma anzitutto ge­nerativo: è da quell’amore che i discepoli sono stati generati e per quell’amore possono continuare ad esistere come tali. Il comandamento nuovo, sintesi perfetta della legge resa intima al cuore dell’uomo col compiersi della nuova alleanza (cf Ger 31,31-34), è stabilito dunque come sigillo identitario e via di vita in seno alla comunità discepolare (cf anche 15,9-17). L’amore vitale e vivificante del Maestro e Signore, che legherà indissolubilmente i discepoli al Figlio così come ha legato il Figlio al Padre (cf 13,34; 14,31; 15,9.12), sarà rivelazione dell’essere stesso di Dio in mezzo al mondo (cf 1Gv 4,7-16). Per comprendere il comandamento di Gesù, come già prima per comprenderne il gesto, Pietro per primo dovrà fare i conti con la sua incapacità di essere discepolo fino in fondo prima della Pasqua. Come nel dialogo durante il gesto della lavanda, così anche ora il primo scambio di battute è interlocutorio e dolce da parte di entrambi: dice tutto il dolore della separazione inevitabile (cf 13,6-7). La sua seconda tappa invece è brusca e cruda: Pietro pretende che la via possa essere diversa da quella che Gesù traccia e crede di poter già fare quello che fa il buon pastore (cf 10,18ss; 10,22ss), quasi prendendone il posto; Gesù, per tutta risposta, lo mette di fronte alla sua verità senza mezzi termini (cf 13,8). In entrambi i casi, Pietro non capisce il gesto/la parola di Gesù; in entrambi i casi Gesù lo invita ad attendere il futuro. L’esperienza pasquale si deve fare per intero e Pietro, non meno di Giuda, ha bisogno che Gesù doni per lui la sua vita.

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