Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 9,10-17
10 E, tornati gli apostoli, raccontarono a lui quanto avevano fatto. E, presili, si ritirò in privato, in una città chiamata Betsaida. 11 Ora le folle, saputolo, lo seguirono. E, accoltili, parlava loro del regno di Dio, e quanti avevano bisogno di cura li guariva. 12 Ora il giorno cominciò a declinare. Ora, avanzatisi, i Dodici gli dissero: Sciogli la folla, perché andando intorno per i villaggi e per i campi si riposino, e trovino grano, perché qui siamo in luogo deserto. 13 Ora disse loro: Date loro voi stessi da mangiare. Ora essi dissero: Non abbiamo più di cinque pani e due pesci. A meno che, andando, non compriamo per tutto questo popolo da mangiare. 14 Erano infatti circa cinquemila uomini. Ora disse ai suoi discepoli: Fateli sdraiare a gruppi di circa cinquanta. 15 E fecero così e fecero sdraiare tutti. 16 Ora presi i cinque pani e i due pesci, levati gli occhi al cielo, li benedisse e spezzò e dava ai discepoli per distribuirli alla folla. 17 E mangiarono e furono sazi tutti e fu levato ciò che sovrabbondò loro: dodici ceste di pezzi.
Lectio di don Alessio De Stefano
Tutta la prima parte del capitolo mette in rilievo il passaggio di qualità nel rapporto che Gesù coltiva con i suoi discepoli. Per conoscere sino in fondo quella sua identità dovranno, però, mettersi in gioco con la loro stessa identità. Per questo vengono inviati in missione (vv. 1-6.10; cf Lc 5,10b; 6,12-16), così come anch’egli è un inviato; vengono chiamati a dar da mangiare ai cinquemila che li seguivano affamati (cf vv. 11- 17), così come Gesù lo fa. Ora con un solo versetto Luca descrive il ritorno dei Dodici. Essi appaiono carichi di cose da riferire, tanto che Gesù ritiene necessario prendere del tempo per ascoltare e gustare, loro soli, la gioia del racconto della loro prima uscita a parlare del vangelo. Il “raccontare” viene espresso col termine diéghesis, lo stesso che Luca utilizza - nel Prologo al suo vangelo, cf Lc 1,1 - per parlare del racconto che egli stesso fa (lui evangelista, “narratore”). E come qui i Dodici raccontano “ciò che avevano fatto” (όsa epόiesan), così descrive nel Prologo l’oggetto del suo racconto che chiama, appunto: pràgmata “i fatti, gli eventi”. Il racconto è vangelo, parola che accade, forza e autorità capaci di trasformare la realtà e di portare la salvezza. - La prova del fuoco: “dare loro da mangiare” (vv. 12-17). Per questo non potranno restare per molto ancora in disparte. Le folle (όchloi) vengono a sapere e seguono Gesù Il verbo è quello della sequela (akolouthéo) e non gli vanno dietro per curiosità o vagabondaggine. Per questo Gesù li accoglie e continua la missione appena conclusa dai Dodici con la gente di Betsàida. Una missione generale e specifica, allo stesso tempo: Gesù spezza la sua parola a tutti, ma cura chi ha bisogno. C’è uno sguardo sulla persona che Gesù rivolge con cura, attenzione e compassione. La comunità degli Atti avrà imparato da lui, quando «darà a ciascuno secondo il suo bisogno» (At 4,35). Questa lunghissima giornata - iniziata presto per i Dodici! - sta per finire: «Il giorno cominciava a declinare» (eméra érxato klinein). Si sente il clima di Emmaus, la sera del terzo giorno (cf Lc 24,29), Luca usa le stesse parole. Come ad Emmaus anche a Betsàida le folle chiedono a Gesù qualcosa di più. «Resta con noi» avevano chiesto i discepoli di Emmaus (Le 24,29a). «Lascia andare la folla» chiedono, per contro, i discepoli adesso. Ad ambedue queste richieste Gesù risponde spezzando il pane. No, Gesù non può mandarli via senza aver “insegnato” loro il sapore della sua parola, che si fa pane. «[La folla] vada nei villaggi [...] qui siamo in una zona deserta» avevano detto i discepoli. «Voi stessi date loro da mangiare» (v. 13) risponde Gesù. I discepoli non si aspettavano certo questa parola da Gesù. Come potremmo, controbattono, se sono cinquemila e noi abbiamo solo cinque pani e due pesci? Gesù non replica nulla sulla quantità, ma passa immediatamente a parlare del modo in cui fare. Il segreto sarà questo: il modo di mangiare. Il segreto è nel condividere il pane in una mensa comune e circolare. In una contiguità in cui ciascuno possa ascoltare la fame dell’altro. Gesù prepara tutta quella folla affinché sieda nella posizione di chi regna, di chi è sovrano e non schiavo alla mensa del necessario. Non sarà lui a distribuire, ma i suoi discepoli, l’intera comunità. Solo da una comunione di amore si può nutrire la vita. Li immaginiamo seduti a loro volta che iniziano soltanto il gioco divino della condivisione. Che permette di far diventare il pane una benedizione e non più un’occasione di guerra. Questa mensa di affamati che - dividendo il cibo - si sazia fino alla sovrabbondanza, è la risposta di Gesù alla prima tentazione che egli ebbe, anche lì, “nel deserto”. «Se sei Figlio di Dio di’ a questa pietra che diventi pane», lo aveva provocato il diavolo tentandolo a dare una prova potente della sua divinità. «Non di solo pane vive l’uomo» aveva risposto Gesù, rifiutando di rientrare nel modello di un Dio onnipotente che può umiliare l’uomo rendendolo aggiogato a sé a causa del suo bisogno. Condividere la fame è la porta del più grande dei miracoli cristiani. Il miracolo eucaristico. La zona deserta suggerisce il retroterra del cammino dell’Esodo, quando Israele vagava nel deserto assetato e affamato e Mosè ebbe da Dio la manna (cf Es 16).