Ponderata diffidenza. «Bisogna diffidare dei tecnici: cominciano con la macchina da cucire e finiscono con la bomba atomica». La fulminante battuta che Marcel Pagnol inserì in una delle sue commedie ben si addice ad ogni astruso vezzo della postmodernità, che – come ci è stato ribadito dagli Stati generali e dalla Giornata mondiale della famiglia– lamenta il crollo demografico, mentre avanza nei “capricci soggettivi tecnologici” per assicurare nuovi nati. Il problema non è tecnologico o economico, ma culturale. “Cosa è più vita?” La libertà sta nella relazione e non nella separazione tra individuo e società.
Al contrario dello scienziato, che dovrebbe nutrire una visione d’insieme delle cose e del mondo, e perciò si interroga anche sul fine ultimo delle sue scoperte e azioni, il tecnoscienziato – come quello che sperimenta l’utero tecnologico, oppure innesta embrioni in un utero surrogato ragiona talvolta guardando alla sola stella polare dell’utilità: non concede sempre ascolto alla moralità, rischiando di seguire esclusivamente i meccanismi di produzione, che si tratti di surgelati alimentari, di cibi biotecnologici o di produzione di embrioni animali o umani . E così avviene sempre più spesso anche per questioni intimamente legate alla vita umana.
Donne come madri surrogate per altri? La possibilità di ricorrere a un utero terzo, da parte di coppie o di donne la cui biologia vieta una maternità “tradizionale”, è oggi un’opportunità biotecnologica, per cui si parla di gestazione per altri. Le donne, insomma, restano madri, ma a vantaggio di altri e altre, quasi trasformandosi in “portatrici” di gravidanze altrui. Un fenomeno, questo, divenuto ormai legale in 20 dei 212 Paesi del mondo: legale se gratuita in Australia o Belgio; mentre in altri Paesi, come in Armenia o Georgia, legale, ma. Si può essere femmine per nove mesi, gestendo un amore non proprio, diventando madri biologiche e non genetiche, per conto di altre e di altri che non sono in grado di avere una gravidanza? La pratica dell’utero in affitto non rischia di trasformare le donne in prestatrici di un servizio, sessuale o materno, rendendo il corpo delle donne come un bene disponibile per l’uso pubblico? È comprensibile, e certo da sostenere, anche a motivo della crisi demografica occidentale di cui molto si sta parlando in questi giorni, l’aspirazione di una coppia ad avere figli, ma l’egoismo sembra spesso prevalere: esistono altre vie, ad esempio l’adozione, per far incontrare virtuosamente il desiderio di maternità e paternità con il futuro di un bambino che attende una famiglia in cui crescere protetto ed amato. Assecondare e incoraggiare la gravidanza per conto terzi promuove invece quello che è a tutti gli effetti un business sulla sofferenza, che non tiene conto delle gravissime implicazioni sociali e dei costi umani che comporta. Non è un caso che, il 23 marzo 2023, la Dichiarazione di Casablanca abbia proposto una convenzione internazionale che metta al bando questa pratica. Al riguardo, sono state formulate sei raccomandazioni per gli Stati: proibire la maternità surrogata; rifiutare qualsiasi valore legale ai contratti in tale ambito; prevedere sanzioni sia per gli intermediari tra madri surrogate e aspiranti genitori, sia per chi ricorre a questa pratica all’interno del proprio Paese o all’estero; infine, agire per «l’adozione di uno strumento giuridico internazionale che porti all’abolizione universale della maternità surrogata».
La discussione in Italia. Il tema è divenuto caldo anche in Italia. Il problema si è trasferito alle aule parlamentari. Come ha ricordato in Senato la ministra per la famiglia, rispondendo ad un’interrogazione il 22 marzo scorso, «nel caso di un atto di nascita prodotto all'estero in cui risultino genitori due padri, la trascrizione in Italia prevede quella del solo padre biologico. Una volta riconosciuto il genitore biologicamente legato a sé, il piccolo potrà godere immediatamente di tutti i diritti». La stessa ministra ha ricordato che la Corte di Cassazione, il 30 dicembre 2022, a sezioni unite, con la sentenza n. 38162, ha stabilito che la pratica dell’utero surrogato «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane, assecondando un'inaccettabile mercificazione del corpo, spesso a scapito delle donne maggiormente vulnerabili sul piano economico e sociale».
Una pratica inumana. Certo, non è in discussione il contributo benefico che tecnologia e scienza danno all’essere umano: molti processi quotidiani ne risultano facilitati: essere curati o guariti da malattie è meno difficile che in passato e, tutto sommato, si vive meglio di ieri. Ma qual è il costo di questi benefici evidenti? Quali trasformazioni si stanno verificando a livello morale, mentale e cognitivo? In particolare, si assiste al disvelarsi del pensiero alla base della legittimazione etica e giuridica della pratica dell’utero in affitto, cioè all’espansione di quella ideologia che ritiene che tutto possa avere un prezzo, persino la commercializzazione dell’essere umano. E non a caso papa Francesco, insiste sull’incremento della natalità e richiama tutti alla massima attenzione, dal momento che «la dignità dell’uomo e della donna è minacciata anche dalla pratica inumana e sempre più diffusa dell’“utero in affitto”, in cui le donne, quasi sempre povere, sono sfruttate, e i bambini sono trattati come merce».
Una china pericolosa. Una china pericolosa, lungo la quale l’esaltazione del desiderio individuale produce costi che inevitabilmente graveranno sulle spalle delle generazioni future, di bimbi nati dalla combinazione casuale di gameti, ingenerando l’idea che sia legittimo esercitare un diritto pieno sulla vita, che oggi è nel campo della procreazione medicalmente assistita e domani chissà anche in altri. Un modo come un altro per gettare alle ortiche dell’oblio il monito inciso nelle parole dello scrittore André Malraux: «Il problema fondamentale è che la nostra civiltà, che è una civiltà della macchina, può insegnare tutto all’uomo, ad eccezione di come essere uomo».
✠ p. Vincenzo Bertolone SdP
Arcivescovo emerito di Catanzaro Squillace
(Fonte. Quotidiano del Sud del 21/05/23)