Continuiamo con le pillole di grammatica che la professora Mariangela Vaglio - alias Galatea - ci propina attraverso le pagine de "L'Espresso".
In italiano, le parole sono maschili o femminili. Non è sessismo, è che la nostra lingua è strutturata così. Il nostro “papà” latino aveva anche il genere neutro, che indicava solitamente gli oggetti e talvolta i concetti astratti.
In effetti, se ci pensate, è illogico che gli oggetti in italiano siano considerati maschi o femmine. Non c'è alcun reale motivo per cui il pane sia maschio ma la pagnotta sia femmina, e lo stesso si può dire per il tavolo e la scrivania.
Fatto sta che, nel gran bailamme dei secoli bui e delle invasioni barbariche, il genere neutro si è perso, come la toga e il latino, e la lingua parlata in seguito, cioè quello che poi è diventato il nostro italiano, non ha conservato il genere neutro. Mai, in nessun caso.
Il fatto che non esista un genere neutro non trasforma automaticamente l'italiano in una lingua sessista, o poco adatta alla modernità.
Se alcune parole erano un tempo solo maschili, perché, per esempio, indicavano mestieri svolti unicamente da uomini, la nostra lingua ha in sé già anche le regole per creare dei femminili.
Per esempio tutti i nomi che finiscono per -o al maschile, al femminile fanno regolarmente la desinenza femminile in -a. Quindi, per tornare su un argomento che negli ultimi mesi ha infervorato le folle, il femminile di sindaco è regolarmente sindaca, di avvocato è avvocata, di ministro è ministra, esattamente come il femminile di maestro è maestra e di segretario è segretaria.
Anche i nomi che fanno il singolare maschile in -e fanno il singolare femminile in -a. Nessuno si è mai scandalizzato perché da infermiere è venuto fuori infermiera, quindi mi sfugge il dramma di chi non ammette assessora.
Alcuni lamentano che assessora, ministra e sindaca sarebbero “brutti”. Ma la lingua non ragiona per criteri estetici, ed è anche piuttosto curioso che poi chi non vuole usare sindaca magari usi normalmente ottimizzare, randomizzare, input e altri termini che proprio meravigliosamente musicali non sono. In realtà ministra, sindaca o altri nomi femminili non sono nemmeno particolarmente brutti, solo che non siamo abituati a sentirli usare e ci sembrano strani. Ma la lingua delle nostre fisime, per fortuna, se ne frega.
Se allora si dice sindaca obbiettano alcuni, dovrei dire anche piloto? No. Pilota è già maschile. Esistono infatti in italiano (come esistevano in latino e in greco e in talune lingue germaniche) anche dei nomi maschili che hanno la desinenza in -a. Poeta e pilota non sono e non sono mai stati femminili, ma dei maschili regolarissimi. Quindi non ha senso pretendere di dire piloto per indicare un pilota maschio. È già maschio di suo. Essendo termini in -a semmai è più facile volgerli al femminile, perché restano invariati. Si dice il pilota (maschio) e la pilota (femmina) quando chi conduce un mezzo è una gentile signora. La sentinella e la guardia vanno bene per entrambi, ed indicano qualcuno che, maschio o femmina, sta di vedetta (che copre maschio e femmina). Entrambi probabilmente fanno la guerra, altro termine femminile anche se per secoli è stata fatta quasi sempre da soli maschi.
Per lo stesso motivo Andrea in italiano è un nome maschile anche se termina in -a (come Enea, Elia, Luca). Negli ultimi anni ci sono anche fanciulle che vengono chiamate Andrea, ma per influsso del tedesco, dove Andrea è un nome femminile (e il maschile è Andreas).
Il problema del maschile e del femminile che rischiano di essere sessisti (è infatti antipatico che una donna debba fare il “sindaco” solo al maschile, come se non fosse concepibile che questa carica sia affidata ad una signora) si riscontra però solo nei nomi di cariche e professioni.
Non ha senso dire che chiamare la scrivania così è sessismo perché è un femminile. Il genere degli oggetti è stato infatti attribuito loro in maniera arbitraria. La padella è femminile, ma il paiolo è maschile, la penna è femminile ma il pennarello e l'evidenziatore sono maschili. Stesso ragionamento vale per i termini astratti: amore è maschile ma bellezza è femminile, come virtù e scienza.
Non è discriminatorio usare amore come termine al maschile, anche perché amore copre tutta una serie di possibilità: può essere amore fra un uomo e una donna, fra due donne, fra due uomini, fra madre e figlio, padre e figlia, genitori e figli, e chi più ne ha più ne metta. Non c'è quindi nulla di discriminante, così come la bellezza copre bellezza femminile e maschile, la scienza è fatta da scienziati e scienziate, la virtù può essere praticata da chiunque.
In nessun caso si può proporre, per legge o con una petizione, di inventare in italiano un fantomatico “genere neutro”. Non esiste. Non sapremmo nemmeno come inventarlo. La nostra lingua non lo prevede e di certo non si può imporre per decreto. Per altro, non si capisce nemmeno chi dovrebbe imporre questo uso: il Governo? Il Parlamento?
I generi e nemmeno le parole si possono imporre per decreto. Nascono e poi si diffondono, la gente li usa o non li usa e non c'è nulla che possa cambiare questo fatto. Gli istituti come l'Accademia della Crusca, al massimo, dopo un po', possono certificare la diffusione e l'uso di determinate parole o frasi o espressioni idiomatiche, ma non certo costringere la gente a servirsene.
Quindi sì, l'italiano è una lingua strutturata con parole che sono o maschili o femminili. Questo non ci obbliga però a costruire una società italiana sessista, in cui maschi e femmine abbiano dei ruoli predeterminati. Quando ci servono parole nuove per indicare professioni svolte da maschi e femmine, semplicemente si inventano o si volgono quelle che già abbiamo al femminile o al maschile.
Non è neppure necessario costruire a tavolino un genere, il neutro, che è stato eliminato dall'evoluzione naturale della nostra lingua, e riesumarlo artificialmente non avrebbe gran senso.
Usiamo la grammatica che abbiamo già. Funziona benissimo anche per affrontare le sfide del mondo moderno.
Mariangela Vaglio - Il Mondo di Galatea
fonte www.espressorepubblica.it