Viaggio con occhi curiosi tra le più celebri pagine della Letteratura Italiana e Antica.
Letteratura Italiana
Commento su alcuni componimenti pascoliani a tema natalizio: Le Ciaramelle e Ninna nanna di Natale
Udii tra il sonno le ciaramelle,
ho udito un suono di ninne nanne.
Ci sono in cielo tutte le stelle,
ci sono i lumi nelle capanne.
Sono venute dai monti oscuri
le ciaramelle senza dir niente;
hanno destata ne' suoi tuguri
tutta la buona povera gente.
Ognuno è sorto dal suo giaciglio;
accende il lume sotto la trave;
sanno quei lumi d'ombra e sbadiglio,
di cauti passi, di voce grave.
Le pie lucerne brillano intorno,
là nella casa, qua su la siepe:
sembra la terra, prima di giorno,
un piccoletto grande presepe.
Nel cielo azzurro tutte le stelle
paion restare come in attesa;
ed ecco alzare le ciaramelle
il loro dolce suono di chiesa;
suono di chiesa, suono di chiostro,
suono di casa, suono di culla
suono di mamma, suono del nostro
dolce e passato pianger di nulla.
O ciaramelle degli anni primi,
d'avanti il giorno, d'avanti il vero,
or che le stelle son là sublimi,
conscie del nostro breve mistero;
che non ancora si pensa al pane,
che non ancora s'accende il fuoco;
prima del grido delle campane
fateci dunque piangere un poco.
Non più di nulla, sì di qualcosa,
di tante cose! Ma il cuor lo vuole,
quel pianto grande che poi riposa,
quel gran dolore che poi non duole;
sopra le nuove pene sue vere
vuol quei singulti senza ragione:
sul suo martòro, sul suo piacere,
vuol quelle antiche lagrime buone!
Con questo breve articolo intendo offrire ai gentili lettori un personale commento su una delle poesie di un autore della nostra Letteratura di cui oggi si parla poco e, sovente, in maniera poco accorta: Giovanni Pascoli. La composizione scelta è legata proprio al periodo natalizio.
Considerata ingiustamente come una delle poesie minori di Pascoli e contenuta nei Canti di Castelvecchio, Le ciaramelle, -questo il titolo- racchiude in sé tutto il variegato e complesso universo interiore del poeta emiliano. Tema principale è un dolce ricordo d'infanzia, l'appressarsi del Natale annunciato sul far del giorno dalle classiche melodie delle rustiche zampogne accompagnate dalle allegre ciaramelle durante il periodo della Novena. Al loro suono, quasi come in una fiaba, tutto diventa magico e festoso mentre nella pungente aria dicembrina si diffonde l'inconfondibile serenità natalizia. Ogni cosa è animata dal loro dolce suono, che è suono di chiesa, suono di chiostro, suono di casa, suono di culla, suono di mamma, suono, insomma, di famiglia, di sicurezza, di pace, suono che pervade nell'intimo il cuore del poeta. Quasi come se si trattasse di un sogno sbiadito, l'autore ricorda con nostalgia quei momenti, quando gli capitava di piangere per un capriccio, magari per convincere qualcuno dei suoi parenti a recargli in dono un semplice balocco per arricchire il suo umile ‘nido’. Gli anni passano, le ciaramelle tornano a destare tutta la buona povera gente, che riconosce in quelle pastorali un’energia atavica per la propria esistenza; anche le stelle, seppur consce della realtà affannosa della vita umana, paiono unirsi agli uomini nella comune attesa del suono pastorale. Tutti aspettano qualcosa di migliore, una nuova forza. L'animo del poeta però sembra non più coinvolto nell'atmosfera del Natale. Ora la sua vita, con tutte le sue problematiche, aggravate dal silenzio e dall'assenza dei cari ormai scomparsi, non offre alcuna risposta alle domande del poeta. I suoi punti di riferimento, le cose in cui crede sono ogni giorno messe in discussione dalle vicende del mondo. Riscendono gli zampognari dalle montagne, ma ora il poeta, messo di fronte all” ‘arido vero’- per usare un’espressione cara a Leopardi-, sa che ormai non è più tempo di piangere per un capriccio, ma per la nostra stessa, fragile condizione umana, definita nostro breve mistero. Prima del grido delle campane, che festose annunciano il Natale, il poeta desidera ancora piangere lacrime che siano di dolore per i tanti affanni quotidiani e di gioia contemporaneamente nel ricordo degli infantili capricci. Il suo cuore è in tumulto, mentre attorno a sé il Natale regna con tutto il suo corteo di canti, di riti, di doni. Un’ultima cosa però attrae l'attenzione del poeta: sembra la terra, prima di giorno, un piccoletto grande presepe. Al poeta sovviene il ricordo del presepe, sacra rappresentazione della Natività, incanto dei piccoli e momento di riflessione per i più grandi: il suo sguardo si posa sull'umile mangiatoia, mentre le guance bagnate da lacrime diventano ora lacrime buone, di commozione al pensiero che un Dio ha deciso di farsi debole come noi perché, assiso su un trono di umana, troppo umana sofferenza, potesse donarci il più umano e, allo stesso tempo, sovrumano degli esempi unitamente a una nuova vita.
Consideriamo ora un breve componimento scritto su una cartolina postale inviata ad un’anonima giovinetta da Pascoli, conosciuto col nome di Ninna nanna di Natale:
Dormi, dormi, bambino caro!
Angeli abbassate la voce!
Che non pensi al calice amaro!
Che non pensi a quella croce!
Per Pascoli il mistero natalizio è chiaro: è mistero di amore e di sofferenza, quella sofferenza che solo un amore profondo, disinteressato ma allo stesso tempo consapevole della sua forza e dei suoi obiettivi può affrontare. Il dolore a cui si riferisce il poeta non è però soltanto quella della Passione di Cristo, ma anche quello di piccole grandi sofferenze che caratterizzano il quotidiano di ogni uomo. Ma proprio come accade per le persone, il poeta immagina che anche per Gesù sia necessario ritagliarsi del tempo sereno in cui non pensare a quanto ci aspetta, a quanto abbiamo da fare, non senza difficoltà e dispiaceri. E così questa necessità di riposo dalle diuturne fatiche si immedesima nel dolce sonno del Bambino che, consapevole già della sua difficile missione, si lascia però invitare al sonno dal poeta, che non ha remore a pregare gli angeli perché abbassino il tono del loro festoso canto al fine di agevolare il riposo del Redentore. Tutto ciò che si dovrà fare, sarà puntualmente compiuto, ma non senza un’opportuna pausa, che non significa una fuga dalla realtà ma un ritemprarsi per viverla con più vigore, avendo più profondamente riflettuto sul valore di ciò che è da farsi.
Amerigo Simone