Il giorno del mio 16° compleanno (1960), mia madre aveva preparato una splendida torta alla crema con 16 candeline, per l’occasione avevo invitato alcuni amici, compagni e compagne di scuola con i quali avrei diviso il dolce (raro di quei tempi) e bevuto qualche “bicchierino” di vermuth, altro non c’era e non sarebbe stato comunque permesso. Con il giradischi a palla sulle prime canzoni di Celentano, Mina e qualche raro 45 giri dei Beatles la torta fu tagliata e sbafata in un batter d’occhio fra un lento e l’altro che ci permetteva di stringere al petto la ragazza desiderata con la testa che andava su di giri anche per gli eccessivi Martini trangugiati con fare spavaldo. Non c’erano molti soldi nelle nostre tasche a quei tempi e non si era abituati a regali di sorta, eppure i miei amici riuscirono a raggranellare qualche liretta e comprarono quello che era il primo libro che ricevevo in dono. Mai regalo fu così gradito, la televisione dalle nostre parti non c’era ancora e il cinema e la lettura erano l’unico svago possibile oltre a qualche “vietatissima” partita al pallone.
I miei amici nel tentativo di essere trasgressivi avevano scelto “Storia della mia vita” ovverossia le Memorie di Casanova in versione integrale, di cui si favoleggiava per il contenuto quanto meno osé, a causa delle proverbiali avventure amorose del Giacomo nazionale. Inutile dire che lessi il libro in quattro e quattr’otto, mi aspettavo la narrazione di episodi quanto meno “scandalosi” per i tempi, ma dovetti constatare che le avventure amorose erano descritte in forma per niente volgare ed accettabile anche per delle educande. A parte, però, la delusione se la si può chiamare così per lo stile più che garbato del narratore, dovetti constatare che Casanova aveva descritto in modo moderno e semplice il modo di vivere degli italiani del XVIII° secolo e scoprii, fra l’altro, che era stato anche in Calabria. In due o tre pagine, descrisse il viaggio che lo condusse a 19 anni da Venezia in Calabria (1744 ca.) ospite del neo-eletto vescovo di Martirano e frate Minimo Bernardo De Bernardis, amico di sua madre, soggiornò brevemente anche nella città di Cosenza ai piedi della Sila ospite del pio vescovo mons. Cavalcanti (successivamente beatificato). La pur breve permanenza nello “sperduto” paesino pedemontano, Martirano, non piacque molto al giovanotto amante del lusso e, annoiato per la vita troppo spartana, ripartì per raggiungere di nuovo Venezia con i suoi lussi, le sue mollezze e le sue perversioni.
A sedici anni certi episodi rimangono impressi, ricordo che andai a cercare su un vecchio Annuario Generale del Touring Club Italiano (del 1929) che mio padre conservava gelosamente e che ancora conservo, il comune di Martirano e scoprii che era situato al confine tra la provincia di Catanzaro, di cui fa parte, e la provincia di Cosenza, a pochi chilometri dal Tirreno. L’annuario riportava scarne notizie, distanza da Catanzaro Km 62,3, abitanti 973 nel capoluogo e abitanti totali (comprese le frazioni) 2986. Oggi Martirano ha solo 917 abitanti, tenuto conto che nel frattempo una delle sue frazioni più popolose, Martirano Lombardo è divenuta comune autonomo. Più di tanto nel 1960 non riuscii a sapere; anche se il mio annuario dei comuni italiani risultava “datato” anche nel ’60, non è che la demografia di quella località nel frattempo era cambiata poi di molto. La mia curiosità, quindi, non fu del tutto soddisfatta. Conservai per qualche tempo il libro e lo rilessi persino, poi la vita mi condusse lontano, lasciai la Calabria per il nord e dimenticai Casanova e la sua biografia. E’ proprio vero, però, che quel che s’impara, prima o poi torna a stuzzicare il cervello, e fu così che quando nel 1975 per un accadimento del tutto casuale mi ritrovai a gestire una libreria….. si avete letto bene, una libreria italiana nel cuore della Svizzera interna, quella dove si parla tedesco per intenderci, anzi lo Schwitzer-Dutsch – il dialetto svizzero tedesco che, per me, è un’autentica aberrazione della lingua germanica e che io mi sono sempre rifiutato fermamente di imparare e di parlare, ma questa è un’altra storia.
La libreria rappresentava un ramo di un’azienda che io, insieme a due amici, rilevai e di cui, successivamente mi dovetti occupare. Quando presi possesso della libreria notai che su uno degli scaffali, in bella vista, troneggiava una recente edizione della “Storia della mia vita” di Giacomo Casanova, fu come fare d’improvviso un tuffo all’indietro nel tempo e mi tornò alla mente tutto: il regalo, la lettura e la curiosità insoddisfatta della mia giovanile sete di conoscenza. Fui distratto dai ricordi dalle incombenze commerciali, firma di documenti e quant’altro necessario per la presa di possesso, ma niente e nessuno mi avrebbero impedito di rileggere ancora una volta il primo libro osé della mia vita. E così fu.
Rilessi il libro e cercai subito le pagine in cui l’autore narrava il suo soggiorno in Calabria, ecco come descrisse per esempio l’alloggio del vescovo De Bernardis: “La casa vescovile era spaziosa ma mal costruita e mal tenuta. C’era tanta penuria di mobili che per farmi preparare un lettuccio, in una stanza vicina alla sua, dovette cedermi uno dei duri materassi su cui dormiva. Il pranzo, poi, era talmente misero che mi spaventò: in effetti il vescovo era molto osservante della regola del suo ordine e mangiava di magro. Per di più l’olio era cattivo. Ma, Bernardo De Bernardis, era un uomo intelligente e, quel che più conta, onesto.”
A Cosenza si trovò invece decisamente meglio. "Ci sono nobili ricchi, belle donne e persone molto istruite che sono state educate a Napoli e a Roma". Casanova afferma di avere mangiato "sublimi salumi", di avere bevuto il "nettare dei cedri" di Cirella, di avere ricevuto dall’Arcivescovo di Cosenza (Mons. Francesco Antonio Cavalcanti) il vino di Gerace e i mezzi per tornare a Napoli, con lettere di raccomandazioni al marchese Galiani e al duca di Maddaloni.
I calabresi non gli fecero comunque una buona impressione: "Guardavo con meraviglia quel paese famoso per la sua fertilità, nel quale, però, nonostante la prodigalità della natura, vedevo soltanto miseria: vi mancavano, infatti, tutte quelle incantevoli cose che, per quanto superflue, contribuiscono a rendere bella la vita e gli stessi pochi abitanti in cui mi imbattevo mi facevano vergognare di appartenere al genere umano". La miseria, deve aver pensato, rende gli uomini "bruti"; persino con " tendenze tutt’altro che raccomandabili". Tant’è vero che, di ritorno verso Napoli, preferì dormire con i pantaloni addosso, il che è tutto dire. Poche pagine sulla Calabria nel romanzo veramente affascinante della sua vita.
La mia curiosità riguardo a Martirano doveva finalmente trovare soddisfazione quando percorsi qualche anno più tardi, per la prima volta l’autostrada Salerno-Reggio Calabria andando oltre Cosenza verso le provincia di Catanzaro. Dopo pochi chilometri dall’uscita per Rogliano, allo svincolo autostradale per Altilia e Grimaldi mi si presentò davanti agli occhi anche l’indicazione “Martirano”. Fu un colpo di fulmine, finalmente dopo 30 anni scoprivo dove esattamente si trovava quella località, mi ripromisi di farci una capatina e l’occasione mi si presento da lì a poco.
Era un giorno imprecisato del mese di novembre dell’ottantacinque se non ricordo male, e avevo un appuntamento a Lamezia nel pomeriggio, partii al mattino con l’intenzione di fermarmi lungo la strada e visitare finalmente il paesino che oltre a Casanova aveva ospitato nel XIII° sec. il figlio storpio dello “stupor mundi” Federico II° di Svevia, giovane sfortunato, la cui storia è stata ben raccontata dal prof. Coriolano Martirano, cosentino doc, in un suo libro dal titolo “Enrico VII lo sciancato”.
Giunsi dopo aver percorso una tortuosa strada in salita a Martirano, faceva freddo e pioviccicava, mi fermai in un’ampia piazza con parcheggio e m’infilai nel più vicino bar, ordinai un caffè e chiesi al barista se c’erano ancora i resti del palazzo vescovile, sogghignando il brav’uomo m’indicò un bel prato ben tenuto nel cui centro campeggiava una lapide piazzata lì di recente, sulla quale era scritto che proprio lì sorgeva un muro, ultimo resto dell’antica magione vescovile, che però era stato abbattuto per motivi di sicurezza essendo pericolante, ma subito dopo il barista con un sorrisetto sardonico mi consigliò di rivolgermi, per notizie più precise, ad un signore che stava proprio in quel momento parcheggiando la sua mercedes di fianco alla mia auto. Non me lo feci ripetere due volte e senza chiedere altro sull’identità del nuovo personaggio, mi avvicinai, mi presentai e gli chiesi se aveva notizie sulla presenza di Casanova in quel paesino. Al signore da me interpellato gli si illuminò il volto con un sorriso di sorpresa e si disse felicissimo del mio interesse, in quanto egli nella sua qualità di sindaco, proprio in quei giorni aveva fatto stampare un opuscoletto sul soggiorno del seduttore veneziano nel sua città. Mi diede alcune copie dello stampato e mi raccontò come fu con grande dolore costretto a far abbattere il muro superstite della casa religiosa. Mi raccontò di altre famiglie illustri e mi accompagnò a fare un giro nel piccolo centro storico dove effettivamente la presenza di alcuni imponenti portali faceva pensare all’importanza che un tempo ebbe certamente quel nucleo urbano. Ci salutammo nei pressi del bar ed io rimasi ancora da solo col barista che sicuramente avrebbe voluto sapere del mio colloquio col sindaco, ma io rimasi un po’ sulle mie fino a quando non entrarono due giovanotti dalla barba incolta, jeans e giubbotto, trasandati sul tipo tardo “sessantottino” ai quali, con la mia solita faccia tra l’impertinente e lo sprovveduto, feci più o meno le stesse domande che avevo, un’ora prima, sottoposto al sindaco. Senza farsi troppo pregare, mi informarono che erano consiglieri comunali di minoranza e dissero peste e corna dell’amministrazione comunale che aveva distrutto l’ultimo pezzo di storia di Martirano e che in quel muro c’era ancora una parte del bel portale che poteva essere certamente messo in sicurezza invece di abbatterlo, sì da offrire ai visitatori, se non l’intero palazzo, almeno quell’unica vestigia dell’antico “splendore”, ora perduto per sempre.
Offrii loro da bere e mi invitarono a tornare previo appuntamento per farmi conoscere altre storie di mala amministrazione, mi avevano scambiato per un giornalista ed io non dissi nulla per smentire, promisi che mi sarei fatto vivo, ma, ovviamente non lo feci. Mi capitò di tornare da quelle parti qualche anno più tardi per sapere qualcosa di più su due altri piccoli comuni vicini, Martirano Lombardo e Motta Santa lucia, e di questa visita racconterò in un’altra occasione, ma non chiesi più di Giacomo Casanova, intanto mi ero meglio documentato e ne sapevo abbastanza.
Il ricordo di quei due “simpatici” incontri tra maggioranza e minoranza mi fa ancora oggi sorridere, ma in sole due ore avevo soddisfatto la mia curiosità vecchia di quarant’anni e avevo avuto la buona (o cattiva?) sorte di sentire due versioni su fatti recenti ma anche su quelli vecchi di 3 secoli riguardanti il mitico “Martirano” ed il viaggio del giovane gaudente Giacomo Casanova.
Antonio Michele Cavallaro