Nel giorno dedicato alla commemorazione dei defunti, più che mai ci poniamo delle domande esistenziali riguardanti la nostra natura umana. Infatti diciamo di solito “andiamo a visitare i defunti” avviandoci verso il cimitero, dimenticando che in quel posto non vi sono altro che i miseri resti destinati a diventare polvere nel breve volgere di pochi anni e non le persone che abbiamo amato in vita. Il fatto è che i cimiteri servono a noi vivi, per rinnovare i ricordi, magari attraverso l’immagine di una foto sbiadita, nel tentativo vano di “sentire” la presenza dei nostri cari estinti. Sappiamo benissimo che altro non è che un tentativo di esorcizzare la morte che ci segue passo passo da quando emettiamo il primo vagito, è voler quasi lanciarle una sfida che sappiamo in partenza di dover perdere prima o poi.
Poi c’è la “Fede”, quella cristiana, evangelica, che ci è stata inculcata fin dall’infanzia, la prima delle tre virtù teologali, che ci invita ad abbracciare la sorella “Speranza” nell’attesa della “risurrezione della carne”, ed è proprio su questo argomentare che la mente vacilla. “La risurrezione della carne è il mistero inaudito che non dà tregua alla fede e alla speranza del cristiano. Scandalo, ma soprattutto profezia, promessa che quanto di buono è stato realizzato nella storia dei singoli e dell'umanità intera non andrà perduto, perché sarà conservato eternamente in Dio”.
Ho trovato questa frase nell’incipit di una pubblicazione, che un carissimo amico ha avuto la bontà di inviarmi nel tentativo di aiutarmi a dissipare i miei dubbi, le mie incertezze che in questa parte finale dell’esistenza mi assalgono come non mai. Eterni quesiti che l’uomo si è posto nei millenni a partire da molto prima dell’avvento di Cristo, che ci assillano e non ci danno tregua. Fede e Speranza che ci devono sostenere, non dimenticando, la Carità intesa come AMORE, verso gli altri, i più deboli i meno fortunati, i poveri - e a me piace aggiungere - verso la natura, l’ambiente, gli animali e, perché no, verso noi stessi.
Ho letto d’un fiato le poche pagine del breve “dossier” dal titolo “La risurrezione della carne: scandalo o profezia” di Francesco Brancato, e invito tutti gli amici e le amiche che leggeranno questa mia breve nota a fare altrettanto, lo troveranno certamente illuminante. (per info cliccare quì).
Dal testo ho estrapolato la parte che segue, certo che acuirà ancor più la vostra curiosità. Buona Lettura e grazie per il tempo che mi avete dedicato in questo giorno della MEMORIA per chi non è più tra di noi, ma che continuiamo ad amare.
Luomo è il suo corpo - è stato detto ormai mille volte - e questo non è altro se non la somma degli organi e in definitiva degli elementi chimici che lo costituiscono. È lo sguardo scientifico a dircelo nel momento in cui penetra nella profondità delle cose e le scompone in granuli. Se tutto questo ha un fondo di verità, allora oggi più che mai, sia la filosofia che - più ancora - la teologia hanno il compito di ricordarci che il corpo indica la persona, il suo vissuto, le sue gioie, le sue sofferenze, i suoi incontri e i suoi scontri, le sue relazioni e i suoi contrasti. Senza cessare di essere un insieme di organi e una serie di funzioni, è tuttavia corpo vissuto, esperito: è il corpo che si è e non il corpo che si ha o che si possiede; è il corpo che si vive. Queste poche considerazioni ci danno la misura dell'importanza del corpo specialmente per la fede e per la speranza cristiane; comprenderne il valore vuol dire avere chiara la concezione antropologica cristiana. Ma tutto ciò sarebbe ancora insufficiente se non si comprendesse il valore del corpo alla luce di ciò che la fede ci dice riguardo all'uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio, creato in Cristo, destinato alla vita di comunione con Dio mediante il dono dello Spirito. Detto questo, ci chiediamo: in un panorama come quello che abitiamo oggi, in cui è ormai evidente l'avanzare di un processo che sembra irreversibile e che sta conducendo alla "mutazione dell'umano", cosa vuol dire ripensare l'uomo alla luce del messaggio evangelico su di lui? Non significa forse pensarlo sì nel suo presente, ma anche nella sua origine e provenienza e quindi nella sua fine e nel suo destino escatologico? Non significa, in sostanza, pensarlo alla luce del mistero pasquale di Cristo, l'Adamo escatologico, l'uomo ultimo?
Tonino Cavallaro