(foto: cartello esposto nei locali pubblici dei primi del '900)
Il degrado morale si misura anche dalla volgarità del linguaggio. Il cinema e la televisione e soprattutto il cinema in televisione, hanno sdoganato quella volgarità di linguaggio che una volta – neppure molti anni fa – assolutamente non si concepiva o al massimo si poteva sentire magari nelle bettolacce di terz’ordine. E nemmeno cosí disinvoltamente e spudoratamente come il linguaggio che oggi ci porta in casa a tutte le ore la televisione.
C’è qualcuno che si è preso la briga di contare i fuck e derivati, presenti nei film che ci arrivano da oltreoceano. I primi in classifica: in The Wolf of Wall Street, film di Martin Scorsese del 2013 se ne incontrano 569; 435 in Summer of Sam di Spike Lee, del 1999; 428 in Nil by Mouth, di Gary Oldman, del 1998; 422 in Casinò, ancora di Scorsese del 1995; e cosí via.
Se si aggiungono altre parole come shit e bitch e altre scurrilità come i nomi volgari degli organi sessuali, in The Wolf of Wall Street arriviamo a 687, vale a dire – visto che il film dura quasi tre ore – 3,8 al minuto. In Swearnet: The Movie, film canadese di Warren P. Sonoda del 2014, si contano 935 volgarità. Poiché il film dura un’ora e 52 minuti, possiamo calcolare una media di 8,35 parolacce al minuto, una ogni 7,18 secondi: una bella media.
Non ne sono esenti neppure i cartoni animati: è uscito lo scorso agosto il film di animazione Sausage Party, la cui prima parola è shit. Seguono una sfilza di parolacce. In pericolo il primato per i film di animazione di Suth Park, del 1989, in cui si contano 399 parolacce.
Per non parlare dalla produzione italiana, che non è certo da meno. Abbiamo imparato a importare dalle Americhe tutte (e solo) le cose peggiori. Certo che negli Stati Uniti ci sono anche cose buone, ma noi quelle gliele lasciamo.
I film italiani – direi grosso modo a partire dagli anni novanta del secolo scorso – sono infarciti di volgarità che qui non è necessario le ripeta: basta andare a cinema, per un film qualsiasi, o accendere la televisione. Non sono molte le eccezioni. In particolare per i film comici. Parrebbe che senza volgarità non ci sia comicità. Eppure in tutta la vasta filmografia (100 pellicole) del piú grande attore comico di tutti i tempi, vale a dire Totò, non ci sono mai volgarità. Una sola parola un po’ sopra le righe, si trova nel film I due colonnelli, in cui, all’ufficiale tedesco che gli urla: «Io ho carta bianche!» risponde «E ci si pulisca...».
Non hanno avuto bisogno di usare parole volgari altri grandi comici, come Massimo Troisi, Franchi e Ingrassia, Peppino De Filippo, Walter Chiari, eccetera. O, andando in campo internazionale, Stanlio e Ollio. Charlot, Jerry Lewis, Peter Sellers avevano forse bisogno di volgarità per far ridere?
La cosa curiosa è come questa moda delle parolacce, progredisca parallelamente all’altra moda ipocrita e ridicola del cosiddetto “politicamente corretto” (che poi vorrebbe significare “eticamente” corretto: la politica non c’entra per nulla). Cioè si può usare, come abbiamo visto, una parolaccia ogni sette secondi, ma non si possono usare parole come “sordo”, “cieco” e nemmeno si può dire di un alunno “respinto”, perché sono ritenute parole offensive.
Certo che è strano questo nostro mondo!
Amerigo Iannacone
Fonte: da "Il Foglio Volante" di Ottobre 2016