Da pochi giorni Procida, l’isola di Arturo, di Graziella e… del Postino è stata proclamata Capitale della cultura per il 2022 (fig. 1) e subito i massimi editori mi hanno contattato per preparare un libro, ricco di foto a colori, da distribuire in tutta Italia. Mi sono immediatamente messo al lavoro e prometto ai lettori che entro pochi mesi il futuro best seller vedrà la luce, nelle more voglio illustrare alcuni aspetti salienti di questa splendida isola, che merita di essere conosciuta.
Procida (fig. 2) ha una lunga storia, con vari popoli che l’hanno dominata: Calcidesi, Siracusani, Greci ed infine Romani. Dopo le devastazioni da parte di Visigoti e vandali, l’isola cadde sotto la corona Sveva, che la diede in feudo ad una famiglia Salernitana alla quale apparteneva il famoso Giovanni da Procida (fig. 3), uno degli eroi dei vespri siciliani nel 1282, che fece anche edificare un castello. Divenuta feudo dei D’Avalos, nel 1534 subì una grave incursione da parte del pirata Kahir Ed Din, detto il Barbarossa (fig. 4).
Ulteriori scorrerie piratesche indussero una parte della popolazione a trasferirsi sulla terraferma, dando luogo alla località Monte di Procida, e chi rimase a realizzare torri di difesa e cinte murarie. Sotto Carlo III divenne sito reale per soddisfare la passione venatoria del sovrano. Nel 1806 fu occupata da Giuseppe Buonaparte, per ritornare poi ai Borbone con Ferdinando I, il quale destinò il castello (fig. 5) prima a scuola militare e infine a bagno penale, funzione che ha conservato per oltre 150 anni, ospitando detenuti politici ed infine ergastolani.
Il destino di Procida è stato sempre legato al mare. Pescatori e marinai sono stati per secoli i Procidani, dotati di una flotta costituita da tartane e feluche in cospicuo numero.
Nel Settecento il naviglio isolano contava circa 100 scafi, che aumentarono costantemente nel tempo, mentre molti erano gli armatori. Nel secolo scorso sorse un importante Istituto nautico e varie scuole professionali marittime.
Tra le tradizioni popolari vi sono numerose processioni, particolarmente in onore del patrono san Michele Arcangelo (fig. 6), che si svolgono l’8 maggio in ricordo dell’apparizione sul Gargano ed il 29 settembre, nel borgo di Terra Murata, quando, fino a pachi anni fa era possibile assistere ad una tarantella animata dal suono di strumenti popolari, dal siscariello allo scetavajasse, dal putipù al triccabballacche. Altri momenti d’intensa sensibilità religiosa si manifestano durante la settimana santa con una processione di confratelli incappucciati e coronati di spine e con il corteo del Venerdì Santo(fig. 7) con rappresentazioni di episodi delle Sacre Scritture.
Una figura parareligiosa molto diffusa sull’isola è quella delle “monache di casa”, donne che superata l’età del matrimonio si dedicavano, a mo’ di perpetue, all’assistenza di un sacerdote, spesso un parente e nell’arte della divinazione, una facoltà molto richiesta là dove gran parte della popolazione aveva familiari lontani impegnato come naviganti.
La cucina locale è particolarmente povera e si basa su verdure e ortaggi, alici (fig. 8) e sarde, carne di coniglio e frattaglie di bovini e suini, perché tagli di carne di maggiore pregio e pesci più richiesti sul mercato erano destinati alla terraferma, il piatto più povero per eccellenza, era una zuppa di pane raffermo, condita con aglio prezzemolo e pomodoro.
L’isola è ben collegata alla costa ed è raggiungibile con traghetti ed aliscafi(fig. 9), è collegata con un ponte alla limitrofa isola di Vivara, da tempo oasi naturale protetta(fig. 10) ed è dotata di spiagge invitanti(fig. 11).
Nell’Ottocento molti procidani emigrarono sulle coste dell’Algeria, dove la pesca era più generosa e dove era presente il corallo. Essi si fermarono soprattutto a Mers El Kebir, trasferendovi un patrimonio di tradizioni dai canti alle feste e vi rimasero fino al 1962, quando a seguito della rivolta locale si portarono nella zona di Marsiglia, dove ancora oggi vi è una nutrita colonia di procidani.
La storia recente dell’isola s’intreccia con quella del “bagno penale”, nome originale dato da Ferdinando II, il quale alludeva, non certo alla possibilità dei reclusi di godere della contigua spiaggia della Chiaia, bensì perché con la detenzione ci si lavava delle proprie colpe.
Ospiti illustri sono stati Giovanni Ansaldo, il mitico direttore de Il Mattino, il Maresciallo Rodolfo Graziani, i quali hanno saggiato l’opera di redenzione attraverso l’esercizio di umili lavori artigianali, dalla falegnameria alla tessitura del lino, oltre naturalmente alla coltivazione dei terreni limitrofi al penitenziario. Ebbi l’opportunità di visitare il complesso(fig. 12) poco prima che venisse chiuso all’improvviso nel 1988, grazie all’amicizia con l’allora direttore Greco e ricordo ancora con commozione la lapide posta all’ingresso del piccolo cimitero: “qui finisce la legge degli uomini e comincia la legge di Dio”.
Dopo la chiusura, il complesso versa in condizioni pietose, mentre potrebbe rappresentare una cospicua risorsa per l’economia isolana
Dal Seicento si diffonde un costume tradizionale, chiamato Graziella(fig. 13), costituito da un corpetto, un gonnellina scarlatta, un grembiule violaceo, una zimarra ricamata in oro ed un crespo di seta sul capo. Esso era ispirato da quello indossato dalle donne di una piccola colonia Armena di stanza al molo piccolo di Napoli. Graziella è anche il nome dell’eroina del celebre romanzo di Alphonse de Lamartine(fig. 14 – 15), scritto nel 1852, figlia di pescatori e lavoratrice di corallo, della quale il romanziere racconta di essersene innamorato durante il suo soggiorno nell’isola e di averne avuto notizia della sua morte al ritorno in Francia. Oggi dà il nome ad un premio letterario e ad un concorso: “La sagra del Mare”, durante il quale le fanciulle sfilano con il tradizionale costume locale.
Un altro romanzo legato all’isola è quello scritto da Elsa Morante durante una sua vacanza con il marito Alberto Moravia:“ L’isola di Arturo”(fig. 16). Esso parla della scoperta dell’amore da parte di un giovane, che qualcuno ha voluto identificare col poeta Dario Bellezza, anche quest’ opera è alla base dal 1987 di un premio letterario e della pubblicazione cahiers Elsa Morante. Infine, in tempi recenti, il regista Micheal Radford, ha ambientato a Procida il romanzo di Skarmenta “Il Postino”(fig. 17), interpretato da un impareggiabile Massimo Troisi(fig. 18), il quale ha contribuito al rilancio turistico dell’isola e dato luogo ad un premio annuale per il tema migliore tra gli studenti procidani. Rimanendo nell’ambito della cultura popolare bisogna ricordare di proverbi sorti spontaneamente in una popolazione di marinai e contadini e che si esprimono in un vernacolo particolare, difficile da intendere per gli stessi napoletani.
Volendo trattare di cultura “alta”, non si può certo dimenticare i tanti personaggi noti che amavano trascorrere lunghi periodi sull’isola, dal regista Montaldo(fig. 19), di cui riuscii a comprare la ricca biblioteca, fornita di numerosi romanzi in inglese e francese e lo storico dell’arte Cesare Brandi, il quale per 30 anni visse in quella, che secondo la leggenda fu la casa di Graziella, combattendo una strenua battaglia in difesa dell’ambiente.
Altri intellettuali da citare sono Antonio Paolucci, fondatore della testata “L’ora di Procida” e Vittorio Parascandola, medico e scrittore, il quale per anni sul “Il Giornale di Procida” pubblicò dei dialoghi tra vicine di casa a commento degli avvenimenti isolani.
Tra i pittori procidani non vi sono nomi famosi, ma nessuno meglio di “Cecco da Procida”, Camilla Mazzella e Teresa Barone hanno saputo rendere sulla tela, con colori vivaci e accese tonalità, scorci di paesaggio ed albe indimenticabili.
Achille della Ragione