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Quante bugie quando diciamo: "MAI, MAI PIU' "

mai piu.jpgVisto che il tempo metereologico di questa Pasquetta (almeno quì al Sud) ci costringerà a stare in casa (piove e tira vento) vi propongo queste brevi annotazioni su una parolina del nostro lessico, che usiamo talvolta a sproposito:"MAI". Quante volte la pronunciamo dicendo bugie colossali del tipo: "Caro/a non ti tradirò MAI", oppure: "Mai più mangerò carne", o può scappare al politicante di turno: "Mai sfuggirò ai miei doveri", "Mai più  guerre", et similia, bugie, appunto, affermazioni definitive alle quali non crede neanche chi le pronuncia con grande sicumera. Vediamo come l'hanno utilizzata alcuni grandi poeti: da Foscolo a Leopardi...ed altri in buona compagnia. (A.M.Cavallaro)

Mai
Nessuna volta, in nessun tempo, in nessun caso. In frasi interrogative può valere come ‘qualche volta’, ‘una volta’, mentre in quelle ipotetiche può esprimere incredulità o proporre una rara e poco probabile eventualità (“se mai vi andasse…”)
dal latino [magis] ‘più, ‘di più’, ‘piuttosto’.
es. «Mai dire mai.»

Ne più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque

I due celebri versi foscoliani che aprono quella splendida poesia della lontananza che è A Zacinto, ci immettono subito nel cuore di questa tanto breve quanto immensa parola.

Mai, che nega senza scrupoli, che dice ciò che non è stato in nessun tempo o che non sarà più. Una parola potente, cesura tra presente e passato o tra passato e futuro.

Perché dire Non ho mai amato nessuno come amo te” indica un finora che si è appena concluso, parla di un non essere stato che ora è; ma dire invece “non amerò mai nessuno come ho amato te” significa che lo iato è tra l’oggi e il futuro, che ciò che è stato fino a qui è ormai perso, non esisterà più.

Questo mai che guarda al futuro è una parola che apre all’ignoto, che parla di un infinitamente grande che la nostra mente fatica a comprendere. E quando esso diventa mai più, la mente è brutalmente scagliata sul baratro vertiginoso di un tempo senza fine, di un eterno che lascia senza fiato.

Scrive Leopardi nello Zibaldone: «l’orrore e il timore che l’uomo ha, per una parte, del nulla, per l’altra, dell’eterno, si manifesta da per tutto, e quel mai più non si può udire senza un certo senso» . Non a caso, egli inserisce questa coppia vertiginosa tra le sue parole e idee «di grand’effetto poetico, per l’infinità» .

Effetto poetico a cui hanno strizzato l’occhio non pochi poeti, spesso per portarci in uno dei due luoghi in cui il mai più si fa sentire col boato più grande — l’amore.

Vederti una volta sola
e poi mai più
dev’essere più facile che vederti ancora una volta
e poi mai più.

E. Fried, Sempre più difficile

Con questi versi l’austriaco Erich Fried ci restituisce una scena sulla soglia dell’eternità, quella dell’angosciante circostanza di vedere la persona amata per l’ultima volta. Proprio laddove ad essere insaziabilmente bramato è il per sempre, il mai più si presenta infatti nelle sembianze di indomito carnefice.

Jaques Prévert, nella sua poesia dal titolo Au grand jamais - traducibile appunto come “Mai più” - condensa in una breve e paradossale strofa l’assurdo rapporto tra questi due concetti antitetici e al contempo speculari, così tanto abusati in amore

In piena notte all’alba
mai più per sempre
io ti amerò.

J. Prévert, Mai più

E così, sempre nell’ambito di tale gioco di contrari il poeta milanese Michele Mari ci consegna l’immagine a specchio di un inseguimento fatto sulla linea di questi due tempi eterni

Ti cercherò sempre
sperando di non trovarti mai
mi hai detto all’ultimo congedo

Non ti cercherò mai
sperando sempre di trovarti
ti ho risposto

M. Mari, Cento poesie d’amore a Ladyhawke

La strana convivenza tra il sempre e il mai trova la sua origine già nell’etimologia del termine.

Questa paroletta, aperta e veloce, nasce infatti dall’avverbio latino magis che condivide la stessa radice di magnus, ‘grande’, e che indica la superiorità qualitativa di qualcosa rispetto a qualcos’altro - accezione che si è conservata ad esempio nello spagnolo más, nel portoghese mais, nel rumeno mai, ma che si è persa nell’italiano (benché ne rimanga traccia nel nostro ma avversativo, che di magis ha mantenuto il significato di ‘piuttosto’).

Sembra tuttavia che l’espressione latina iam magis volesse dire ‘sempre’ e che via via, per il fenomeno dell’enantiosemia, il significato sia passato al suo contrario, mai per l’appunto.

In tale mescolanza confusa di tempi, non stupisce allora che nella lingua letteraria, mai fosse anche utilizzato come rafforzativo di sempre («sospirar mai sempre» scrive Petrarca, Canz224) e che, nell’italiano di oggi, esso possa significare anche ‘qualche volta’: “potrò mai rivederti?”.

Una vera e propria parola del tempo, che sa dire il nulla e l’eterno, che può far viaggiare tra finito e infinito, tra un passato lontano e un’inaccessibile futuro. Ma se è vero che l’unico tempo che possediamo è quello presente, il qui ed ora, ecco dove poterci far guidare da questa irresistibile parola

Non ci fu mai più inizio di quanto ce n’è ora,
Né più gioventù o vecchiaia di quanta ce n’è ora,
Né vi sarà più perfezione di quanta ce n’è ora,
Né più cielo o più inferno di quanto ce n’è ora.

W. Whitman, Canto di me stesso

fonte:www.unaparolaalgiorno.it

 

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