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Paroloni e paroline: ENCHIRIDIO, mai sentita?

manuali.jpgManuale, libro di piccolo formato che tratta una certa materia.

Voce dotta recuperata dal latino tardo [enchiridion], [dal greco: encheirídion] derivato di [chéir] ‘mano’, col prefisso [en-] ‘in’, letteralmente ‘che si tiene in mano’.

A cercare encheirídion sul dizionario di greco antico si può trovare un significato sorprendente, rispetto a quello che ci aspettiamo una volta letto quello dell’enchiridio italiano: ‘pugnale’. Ma in effetti, in sé ci parla solo di qualcosa ‘che si tiene in mano’, che ha dimensioni adatte e un’inclinazione funzionale ad essere tenuto in mano. Un significato versatile.

Il successo posteriore di questa parola fotografa questa attitudine generale nel libro — con un risultato che potrebbe sembrare, in sostanza, non molto diverso dallo stesso ‘manuale’. Dopotutto se tiriamo in ballo il ‘manuale’, vediamo che si tratta di un tipo di libro che non è mai un gigantesco in folio, che è comodo da tenere sotto mano e che contiene informazioni agevoli da consultare oltre che fondamentali ed essenziali — tanto che il perfettamente tipico si dice ‘da manuale’. Insomma, teniamo fermo il manuale per eccellenza: quello delle Giovani Marmotte.

Se le Giovani Marmotte avessero un enchiridio il tono sarebbe parecchio diverso. L’enchiridio non ha solo un’origine greca: gronda grecità come un babà gronda sciroppo al rum. E i grecismi di evidenza patente (quasi caricaturale) hanno sempre lo stesso gusto: danno un’impressione di altezza culturale celeste, sono ostici per una comprensione d’acchito e anzi vagamente ostili all’orecchio comune, con la luce giusta mostrano un profilo esoterico, si possono usare con successo sicuro anche se non si sa bene che cosa vogliano dire, fanno fare sempre un figurone. Come usare, allora, il nome ‘enchiridio’, posto, appunto, il suo significato di ‘manuale’?

È un enchiridio il libricino sui fiori che ci portiamo in borsa facendo la passeggiata in montagna, per poterli riconoscere; è un enchiridio il libretto di poesie che ci portiamo dietro ogni estate, e che usiamo rileggere come oracolo per accordare giornate, sere e notti; è un enchiridio manoscritto quello che abbiamo ereditato, in cui il prozio annotava le sue ricette non tanto con le dosi (che sono banalità da profani) ma con i procedimenti e i suoi rilievi empirici — quando avere le mani umide, dove appoggiare le uova perché poi siano alla temperatura giusta, come verificare col cucchiaio che il ripieno abbia la consistenza perfetta.

L’enchiridio acquista però anche un valore di nome specifico: lo portano alcuni testi antichi e moderni, specie conservando la veste greca di ‘Enchiridion’ — dall’Enchiridion di Epitteto (scritto da Arriano di Nicomedia, discepolo del filosofo Epitteto nel II secolo) a un arcipelago di diversi Enchiridion che raccolgono documenti vaticani e del magistero della Chiesa cattolica (Enchiridion Symbolorum, Vaticanum, e via dicendo).

C’è una marezzatura di semplice e di spirituale, nell’enchiridio, una sfumatura magica, vagamente superna, che il manuale da sé non ha (anzi il manuale è tendenzialmente basilare e praticone). Ci troviamo dentro l’agilità brillante e portatile della chiave che dischiude un’altezza, della spiegazione importante che si frequenta — compresa nel cavo di una mano, che può tenere il manico del pugnale e il dorso del libro.

 fonte: da "Una parola al giorno"

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