È IN DISTRIBUZIONE IL LIBRO DEI «GATTOLOQUI SATIRICI» DI IPAZIA GATTA ROMANA. La nostra fede personale è a rischio, ma proprio questa è la sfida che dobbiamo superare e che tra tutte le sfide è da sempre la più difficile: la grande prova della fede che, come ammonisce l’Autore della Lettera agli Ebrei: «[…] è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono».
Si tratta di un libro graffiante, che voi lo compriate o no, ci interessa poco, teniamo molto invece a proporvi la prefazione di p. Ariel S. Levi di Gualdo, senza ulteriori commenti.
.Molte persone non sanno che i gatti sono particolarmente amati dai presbiteri del clero secolare. Non lo sanno perché non frequentano i preti e i loro spazi, o perché dei preti conoscono solamente ciò che si lega alle surreali leggende nere in circolazione a livello planetario, soprattutto dal periodo successivo la Rivoluzione Francese, nel quale se ne ebbe un fiorire e una diffusione davvero straordinaria. Numerose sono le case religiose, i monasteri e i conventi maschili e femminili dove da sempre c’è presenza di gatti, pressoché quasi di rigore. In nessuna di queste case i gatti sono stati voluti e presi, sono loro a essere arrivati. Anche perché il gatto è capace a presentarsi alle porte di monasteri e conventi con straordinaria aria da ruffiano, capace di recitare a meraviglia la parte della povera creatura tremolante, abbandonata e affamata, dinanzi alla quale monaci, monache e frati difficilmente hanno il coraggio di sbatterlo fuori.
Con i religiosi i felini hanno un altro rapporto, trattandosi di persone che vivono in comunità. Pertanto, il gatto, con gli abitanti di quelle sacre mura instaura un rapporto comunitario, finendo per divenire un animale con un carattere tutto quanto religioso, monastico o conventuale. Si tratta dei cosiddetti “gatti di vita contemplativa”. Del tutto diverso il rapporto che instaurano con i presbiteri del clero secolare, che quasi sempre vivono singolarmente presso le loro case canoniche o abitazioni private.
Il gatto è quello splendido animale indipendente, ma profondamente affettuoso e fedele, capace a spezzare la solitudine del prete, divenendone compagno e amico.
Mentre non pochi vescovi, incuranti, lasciavano i loro preti, giovani e anziani, in stato di abbandono e solitudine, semmai col potenziale rischio di cadere in modo reattivo nelle sindromi depressive o nella dipendenza dall’alcol, per non dire di peggio, ecco che la presenza di un gatto è riuscita a fare ciò che molti di questi vescovi non facevano: stare vicini ai loro preti.
Talvolta, per un prete, può fare molto più un gatto che il suo vescovo impegnato a struggersi il cuore come attore melodrammatico per poveri, migranti e profughi …
Omelia per il Santo Natale? Poveri, migranti e profughi. Anzi, direttamente nuova versione e lettura del Santo Vangelo: «Gesù era povero … Gesù era un migrante … Gesù era un profugo …».
Sancta Missa in Coena Domini? Poveri, migranti e profughi. Come infatti risaputo ― l’ho detto e scritto ma non mi stanco di ripeterlo ― durante l’Ultima Cena Gesù Cristo prese un povero, o se preferiamo un migrante o un profugo, lo esibì agli Apostoli e disse loro: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”. Il tutto dopo averli istituiti assistenti sociali, non Sacerdoti della Nuova Alleanza, dando loro un preciso comando: “Andate per il mondo e fondate ONG”.
Pasqua di Risurrezione? Manco a dirsi. Per chi è risorto Gesù Cristo, se non per i poveri, i migranti e i profughi, resi ennesimo oggetto dell’episcopal omelia sul mistero del Sepolcro vuoto del Risorto che sconfigge la morte?
Molti di noi sono forse infastiditi da poveri, migranti e profughi? Certo che no! Lo siamo solo dal conformismo del momento di certi ecclesiastici che al primo cambio di vento non esiteranno a mutare atteggiamento e bandiera all’istante. È questo che reca comprensibile fastidio.
In simile situazione di deriva ecclesiale e dottrinale, capite bene la straordinaria importanza per un prete di quegli animali eccezionali che sono i gatti, autentici maestri nell’insegnare l’arte del … ma ignorali!
Ipazia Gatta Romana, arguta e ironica felina senza peli sulla lingua, è un’autentica maestra in quest’arte sintetizzata a suo modo nella frase: «Nun pijateli sur serio, li dovete da pija solo perculo!».
Alcuni anni fa morì un anziano sacerdote, con alle spalle una vita dedicata alla cura dei Christi fideles senza alcun risparmio di sé. Divenuto infine vecchio e malato fu lasciato a sé stesso, con tutti gli inconvenienti e i disagi che la vecchiaia e la malattia può trascinarsi dietro.
Volevano metterlo in Città in una casa di riposo per preti, ma lui che aveva vissuto tutta la vita in un ambito rurale montano rispose che in quella struttura sarebbe morto entro un mese.
Nella casa canonica del paese ricavata da un ex convento francescano del XVI secolo il posto non mancava, ma il nuovo parroco non gradì che il suo predecessore, ormai parzialmente inabile, rimanesse nella struttura parrocchiale. Un parrocchiano gli mise così a disposizione un vecchio appartamentino di sua proprietà, due stanzette al primo piano affacciate su una piazza del paese, dove il nuovo parroco si recava in tutta fretta a fargli un saluto per Natale e per Pasqua, pur vivendo a 100 metri di distanza. In una di queste due occasioni, alla sua uscita fece una battuta molto ironica e infelice a dei parrocchiani che si trovavano per strada, dicendo loro con rara sensibilità: «… e anche questa è fatta, arrivederci a Pasqua!».
L’anziano prete semi-infermo poteva però contare su alcune preziose risorse: diversi parrocchiani grati e riconoscenti per l’apostolato da lui svolto che a rotazione lo visitavano per fargli compagnia e pregare con lui, alcune donne anziane che quotidianamente lo accudivano nei lavori domestici e il suo amato e inseparabile gatto, di nome Tobia. Inoltre un vecchio confratello più volte al mese, a semplice chiamata, gli prestava assistenza spirituale.
Infine il vecchio prete morì. Il suo funerale fu celebrato dal vescovo nella chiesa parrocchiale di cui era stato parroco per ben cinquant’anni. Vescovo insediato da circa un anno e che mai, le due volte che si era recato in quella parrocchia, una per la festa del Patrono, una per le Sante Cresime, aveva trovato tempo per andarlo a visitare. Cosa più che comprensibile in questi tempi nei quali vescovi new generation rispettano altre, nuove priorità; hanno poveri, migranti e profughi che li attendono in ogni angolo. A volte vanno a salutarli persino dentro le moschee, perché se proprio non li incontrano per strada li vanno a cercare loro, al lungimirante scopo di dare ai maomettani le corde con le quali a breve sarà impiccata l’Europa.
Durante l’omelia il vescovo ebbe un “vuoto di memoria”, se così vogliamo chiamarlo: non ricordava il nome del prete morto, che gli fu suggerito a bassa voce dal parroco seduto poco distante. Che sia stato un segno del cielo questo non si sa, ma proprio mentre al misero episcopo tutto poveri, migranti e profughi veniva sussurrato il nome, nello stesso istante entrò in chiesa Tobia, il gatto del prete defunto, con passo felpato e solenne percorse tutta la navata e andò ad accovacciarsi sotto la bara del suo padrone, dove rimase per tutta la Santa Messa attento e sornione senza mai muoversi, tanto lo conosceva bene e lo aveva amato.
Il felino aveva visto gli addetti delle pompe funebri deporlo prima nella bara e poi sigillare la stessa, in seguito portarla via. Lasciato solo in casa era sgattaiolato da una finestra socchiusa del primo piano, era poi saltato in strada e si era diretto verso la chiesa.
Che dire: certi vescovi dovrebbero imparare dalla sapienza e dalla fedele amorevolezza di certi gatti che non parlano affatto di poveri, migranti e profughi. Anzi, se qualche topo cercasse di emigrare clandestinamente nella loro casa per danneggiarla, forse gli farebbero persino la festa, sicuramente non toglierebbero il crocifisso dal muro per non disturbare il roditore, casomai fosse un sorcio musulmano che prima di addentare il formaggio urla: الله أَكْبَر Allah akbar! (Allah è il più grande!).
I gatti non hanno alcuno spirito di carità pelosa, però sono capaci a seguire il loro padrone fin sotto la bara, mentre il pio vescovo new generation tutto poveri, migranti e profughi, manco conosceva il nome di quel suo prete che per cinquant’anni aveva servito la Chiesa e il Popolo di Dio.
Detto questo: potrebbe mai, la mordace Ipazia Gatta Romana, non prendere certi soggetti per il culo? Come vedrete leggendo i capitoli di questa raccolta sistematica, sono ormai diversi anni che Ipazia, filosofa paziente e sagace, ha saputo osservare con occhio attento e ha saputo cogliere, fotografare e commentare con linguaggio spesso bonario, ma arguto, qualche volta anche caustico, momenti, episodi, fatti e situazioni che hanno caratterizzato in negativo la partecipazione alla vita della Chiesa nell’ultimo decennio, a partire dai suoi esponenti più titolati fino all’ultimo piccolo e umile fedele. Una crisi progressiva che viene da lontano e sembra non aver fine, un degrado generale della istituzione ecclesiastica e delle sue strutture, una mancanza di chiarezza e un gioco continuo all’ambiguità da parte della gerarchia, una pericolosa perdita di autorevolezza da parte delle Autorità preposte a guidare i dicasteri vaticani, le diocesi e giù a seguire fino alle parrocchie. Sono sempre meno le eccezioni al declino della pratica religiosa e sempre più preziosi e difficili da individuare gli esempi virtuosi. La nostra fede personale è a rischio, ma proprio questa è la sfida che dobbiamo superare e che tra tutte le sfide è da sempre la più difficile: la grande prova della fede che, come ammonisce l’Autore della Lettera agli Ebrei:
«[…] è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono» (Eb 11, 1).
Tra un’ironia e l’altra Ipazia ci ricorda sempre un principio fondamentale al quale nessun cattolico, chierico o laico, deve venire mai meno:
«[…] bisogna baciare la mano che ci schiaffeggia, se quella mano è la mano del Sommo Pontefice o del nostro Vescovo».
Chi la pensa a questo modo e di conseguenza agisce nella vita di fede, può fare anche ironia, perché è un lusso che gli è concesso e che si può permettere a pieno diritto.
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Chi è Padre Ariel S. Levi di Gualdo: È specialista in teologia dogmatica e storia del dogma, con riconosciute competenze scientifiche in storia, filosofia e diritto. È abilitato al ministero di esorcista (2010) e alla postulazione delle cause dei santi (2011). Lingue parlate: inglese, francese, spagnolo; lettura e traduzione: tedesco, portoghese; Lettura e traduzione lingue antiche: ebraico, greco, latino. Ulteriori notizie le trovate quì.
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