Il paese mio,
Amico mio,
È mio perché là son nato,
Là ho aspirato la prima aria,
Ho visto il primo cielo,
Le prime stelle,
Ho calpestato la prima terra
Che era morbida sotto il piede.
Mi ha sorriso dolce con il sole
Come il sorriso della fanciulla
Al mio primo amore.
Il paese mio,
È una parte del mio DNA,
È un globulo del mio sangue
Che scorre nelle vene
Perché i miei morti hanno intriso
D’humus la sua terra come tesoro prezioso
Con cui alimentarmi negli anni della crescita.
Il paese mio è come una perla
Racchiusa nelle valve di un’ostrica gigante
Come le pietre che lo chiudono
In uno scrigno enorme e duro.
Il paese mio.
Io l’amo, anche se spesso è amaro,
E mi da fitte di dolore al cuore,
Come le tempeste di primavera
Che lo coprono con acque, saette e tuoni.
È nella mia testa, nel profondo del cervello
Lo sogno di notte nel profondo del sonno,
Quando compare come la fata Morgana
Che sparisce dagli occhi, dalle mani
Tese ad accarezzare le sue vesti,
Che si dileguano veloce sparendo.
Il paese mio,
E’ quello che mi spinge alla malinconia
Alla nostalgia dal prurito dolce e amaro
Nelle sere nere di primo inverno
Mentre la luna lentamente sale e se ne va.
Il paese mio,
Sono i ciottoli dei vicoli
Che serpeggiando la dividono,
Le case consunte, antiche con i coppi rossi
i fumaioli anneriti dai fuochi dei camini.
Il paese mio,
E’ la monolitica torre campanaria
Che svetta alta verso il cielo.
I calanchi che torno, torno la recingono,
Un fiume che rumoreggia vecchia fiumara
Nei giorni uggiosi a lungo piovosi.
Il turrito orologio antico che batte forte
Suadente tutte le ore della vita
E le spande nette e chiare alle campagne
Ove il campagnolo zappa una terra dura
Miete ridente il grano sotto il sole a luglio.
Il paese mio,
Amico mio,
Ha qualcosa in più, per farsi amare.
Ha una campanella vecchia,
Dai rintocchi calmi, netti, prolungati,
Il cui eco non mi da timore, non desta rancori.
Ai funerali dal duomo al campo dei santi,
Suona amorevole e dice dolce “vieni, vieni,
Ti aspettano color che son passati.
Potrai riposarti dopo i tribolati giorni,
Dopo gli affanni duri, inutili, illogici
Degli anni che il tempo ti ha donato.
Serenamente potrai godere dei più
Che ti hanno non invano preceduti.
Scioglierai i nodi gordiani della storia,
Aprire il libro dei tanti tuoi perché,
Conoscere il mistero della nascita,
Quel fiat che ti ha dato il calice del pensiero.
Dove forse, disteso al sole, amorevolmente
Infine, potrai sorridere per l’eternità”
Michele Miani
GIUGLIANO IN Campania li, 14.02.2017