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Vangelo di domenica 14 Novembre 2021

Fico seccato.jpgVangelo di Gesù Cristo secondo Marco 13,24-32

24 Ma in quei giorni, dopo quell’afflizione, il sole sarà oscurato, e la luna non darà la sua luce, 25 e gli astri staranno a cadere dal cielo, e le potenze dei cieli saranno scosse. 26 E allora vedranno il Figlio dell’uomo venire nelle nubi, con molta potenza e gloria. 27 E allora invierà gli angeli, e riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra all’estremità del cielo. 28 Ora dal fico imparate la parabola: quando già il suo ramo si fa tenero e germina le foglie, sapete che è vicina l’estate. 29 Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sapete che è vicino, alle porte. 30 Amen, vi dico: Non passerà questa generazione finché non avvengano tutte queste cose. 31 Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno affatto. 32 Ma circa quel giorno e l’ora, nessuno sa, né gli angeli nel cielo, né il Figlio, se non il Padre.

Lectio di don Alessio De Stefano

Il tempo dell’attesa 13,24-37 - Il crollo di Gerusalemme e del suo tempio segna la fine di un tempo, ma non del tempo dell’uomo: i cristiani della comuni­tà di Marco lo sanno bene, perché stanno vivendo esattamen­te in quel tempo, il tempo dell’attesa della seconda venuta del Figlio dell’uomo. Da un lato il fatto che Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni abbiano udito quelle parole di Gesù che spiegava loro il senso della distruzione di pietre su pietre e che adesso la comunità ancora sopravviva, è segno del fatto che, nonostante la drammaticità di quanto sperimentato, la comunità ha continuato a portare avanti la propria missione, annunciando la buona notizia e sentendo il supporto e la vicinanza dello Spirito Santo. Ma è nel cuore di tutti la paura per un altro tempo, per un altro momento, che segnerà davvero la fine del mondo quale lo conosciamo. Le domande dei quattro, allora, stanno ancora lì: quando? E con quali segni ciò avverrà?

I vv. 24-37, dunque, non hanno più quel carattere evidente di contaminazione tra l’esperienza storica patita dalla co­munità e il tono cataclismatico, ma attingono a piene mani dal linguaggio apocalittico e profetico per alludere - contro­battendo alla domanda precisa dei discepoli con un’assoluta indefinibilità dei tempi, noti solo a Dio e ignoti finanche al Figlio e agli angeli, cf v. 32 - all’arrivo del kairόs, del mo­mento opportuno stabilito da Dio e vagamente descritto con i tratti cosmici dell’oscuramento del sole, della luna “spenta”, delle stelle cadenti. .. Le immagini provengono dal libro di Isaia, in particolare dal cap. 13, che descrive l’arrivo del giorno del Signore, ma non vanno lette con un preciso intento naturalistico o mimetico: esse stanno a significare la fine del mondo e delle realtà terrene così come noi oggi le conosciamo, una trasformazione che si esprime dicendo il nuovo come capovolgimento del vecchio e di ciò che è preesistente.

In questo contesto entra in scena il Figlio dell’uomo, con una descrizione che fa da legame tra l’annuncio implicito di 8,38 («Piuttosto, chi si vergognerà di me e delle mie parole in mezzo a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo, in mezzo agli angeli santi») e l’afferma­zione dinanzi al sommo sacerdote in 14,62 («vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della potenza e venire con le nubi del cielo»), che procurerà a Gesù l’accusa di blasfemia. L’idea trasmessa dalla profezia è, insieme, quella del giudizio di Dio e del riconoscimento definitivo dell’autorità del Figlio dell’uomo, ma ad essa si affianca una bella immagine di raduno, dai quattro angoli del mondo, non di un resto di dispersi o esiliati (come avrebbe voluto Is 11,12), bensì degli eletti. È molto suggestiva l’immagine degli eletti di Dio sparsi per le estremità del mondo, perché ciò significa che essi hanno portato avanti la missione loro affidata in 13,10, ossia che la buona notizia venisse annunziata davanti a tutti i popoli. Questo è un segno di grande fecondità e universalità della missione della comunità cristiana, immaginata da Gesù come diffusa fino alle estremità della terra e del cielo nonostante la grande tribolazione affrontata. Gesù ci crede davvero nella possibilità di attraversare il dolore e la morte! Anche nella nostra pericope egli inserisce delle imma­gini paraboliche, uno dei suoi tratti pedagogici distintivi: il fico con i rami verdi (v. 28) e il padrone di casa che si mette in viaggio (vv. 34-36). La prima, in una terra abbondante di fichi (che non è un albero sempreverde), è chiaramente comprensibile dall’uditorio, giacché il ramo verde e tenero della pianta che rinasce è segno eloquente dell’avvicinarsi dell’estate; ciò che diventa meno comprensibile è a cosa debba corrispondere questo segno, giacché il referente di “queste cose” che i discepoli vedranno accadere (v. 29) non è identificabile con certezza: si tratta dei segni cosmici descritti appena prima, o dei tempi di tribolazione annun­ciati nella prima parte del discorso? Cosa ci dirà che il Figlio dell’uomo è alle porte? Il v. 30 ha fatto sudare non poco gli esegeti, perché di fatto nella storia della primitiva comunità cristiana la prima generazione si è chiusa senza che il Figlio dell’uomo abbia fatto ritorno...eppure affermare ciò sembra dichiarare il Gesù marciano in contraddizione o in errore rispetto ad una profezia stavolta non realizzatasi. Forse la frase va letta congiuntamente al v. 32 che la segue a breve, non come correttivo, ma come tensione umana tra il desiderio che certi eventi si compiano e la consapevolezza filiale che solo al Padre appartiene la conoscenza del kairόs. In questa umana filialità c’è il narratore Marco, c’è la sua comunità, ma c’è stato prima di tutti Gesù stesso, pienamente consapevole e insieme in docile attesa della realizzazione del progetto salvifico di Dio per tutta l’umanità.

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