La mia collezione di arte nasce nel 1977 in concomitanza con il mio successo nella professione ed i relativi lauti guadagni, che in parte investivo nell’acquisto di capolavori. Una sibillina inserzione su Il Mattino attirò la mia attenzione: Vendesi 13 quadri del Seicento napoletano per 13 milioni. La sorpresa maggiore fu dove si trovavano: in via Pignasecca, ad un 4° piano di un palazzo fatiscente quanto puteolente. Il proprietario, uno zotico, li conservava in una stanzetta, che a breve doveva contenere bottiglie di pomodoro.”Accatatavilli altrimenti e ghietto perché me servo o spazio”. Se li era procurati per quattro soldi ad un’asta fallimentare dei beni delle Opere pie di Napoli. Dopo un parere positivo da parte del compianto Ciro Fiorillo(all’epoca non ero ancora il massimo esperto del ‘600 napoletano) ne acquistai 6 per 6 milioni, alcuni dei quali, dopo un esperto restauro, si sono rivelati di notevole qualità. In seguito, con mia moglie per anni, ho frequentato le più importanti aste internazionali, a volte spendendo mezzo miliardo in una sola seduta. All’asta dei beni di Achille Lauro, nel 1994, comprai ben 8 lotti, alcuni prestigiosissimi. Nel 1997, con la consulenza di illustri studiosi, stilai il catalogo della collezione (fig.a–b), della quale spesso hanno parlato i giornali, mentre importanti mostre hanno avuto l’onore di esporre miei dipinti.
A Posillipo, circondata dal verde, vi è la villa di un noto professionista napoletano, uomo di scienza e di lettere, proprietario di una delle più importanti collezioni d’arte della città.
Poterla visitare è un raro privilegio, poterne fare partecipi i lettori un’occasione da non perdere.
Entriamo nel salone a piano terra (fig.1) dove sono esposti i pezzi più importanti della raccolta: un bronzo di Gemito raffigurante un Pescatorello (fig.2) che sembra palpitare in precario equilibrio, mentre afferra un pesce ancora guizzante ed una superba Victa (fig.3), capolavoro di Francesco Jerace, un marmo che irradia una luce abbagliante che strega ed avvince l’osservatore, il quale rapito dalla bellezza del volto corrucciato e dalla vista degli splendidi seni prorompenti non può guardarla troppo a lungo senza desiderarla.
(Fig.1) L’opera più antica è una quattrocentesca Madonna col Bambino (fig.4) di Jacobello Del Fiore, studiata da Federico Zeri, proveniente dal museo di Toledo nell’Ohio, frutto di una delle frequenti vendite che le istituzioni americane fanno sui mercati internazionali per rinnovare il loro patrimonio artistico. Affascinante è il Trionfo della fama (fig.5) eseguito da Lambert Sustris, allievo di Tiziano e pubblicata da Vittorio Sgarbi; essa proviene dalla prestigiosa collezione di sir Otto Beit e nella parte centrale richiama a viva voce, per grazia e leziosità delle fanciulle, la Primavera di Botticelli dove pure si celebra un trionfo, quello di Venere.
La parete più ampia del salone è dominata da una grande natura morta di Adriaen van Utrecht rappresentante una Scena di cucina (fig.6) al centro della quale una figura femminile dagli occhi irresistibili è intenta alla conservazione di ghiotti e raffinati alimenti degni della tavola di un re ed infatti cercando i documenti di pagamento che confermassero l’attribuzione della fanciulla al pennello di Rubens si è scoperto che il quadro era di proprietà della casa Orange e si trovava nella residenza dell’Aja. Se si vuole ammirare il pendant del dipinto bisogna recarsi ad Amstersdam nel Rijksmuseum ove è conservato. Dello stesso autore vi è anche un’altra Natura morta con frutta ed ortaggi (fig.7), di minori dimensioni, ma di altissima qualità ed in perfettissimo stato di conservazione con i colori splendenti e vivi come se fossero stati posti ieri sulla tela.
(Fig,2) Prima di passare ai dipinti del secolo d’oro della pittura napoletana ci soffermiamo su una delicata Madonna col Bambino e Santi (fig.8) del senese Rutilio Manetti, già in collezione Achille Lauro ed ancora prima nella leggendaria collezione Doria D’Angri, una raccolta venduta prima della guerra, ricca di Rubens e Van Dyck ed interamente notificata dallo Stato per la sua unicità.
Il Seicento è la passione del proprietario, che ha dedicato all’argomento numerosi libri ed un’opera omnia di ben 10 tomi.
Si va da un Martirio di San Sebastiano (fig.9) di Agostino Beltrano, nel quale sono evidenziabili elementi cavalliniani e falconiani, ad un Martirio di San Gennaro (fig.10) di Domenico Gargiulo, che costituì una delle attrazioni della grande mostra dedicata alcuni anni fa al Santo. Inoltre un’Entrata di Gesù in Gerusalemme (fig.11) firmata e datata di Scipione Compagno ed una coppia di Paesaggi con rocce e figure (fig.12–13) di Salvator Rosa provenienti da una raccolta inglese.
Posti l’uno di fronte all’altro a gareggiare con i fiamminghi due celebri specialisti: Giuseppe Recco con una Natura morta di pesci con gatto (fig.14) siglata, nella quale un grosso pesce rosso in primo piano è rappresentato nel delicato momento di trapasso tra la vita e la morte, mentre un astuto gatto sta per impossessarsi di un’anguilla e Luca Forte con una iconografia rara: un Albero di pesche con tulipani e pappagalli (fig.15) proveniente dalla collezione D’Avalos, nel (Fig.3) quale sono evidenti i rapporti tra la cultura napoletana e quelle nordiche ed iberiche e si possono apprezzare alcune sottili allegorie nei tulipani recisi simboleggianti la morte e quelli posti nel terreno che alludono alla vita. I due variopinti pappagallini, assenti nella replica autografa della collezione di Paul Getty, sono un tipico caso di Ekphrasia, cioè di frutta dipinta così bene che gli uccelli accorrono a beccarla.
Tra le opere del Settecento spicca un bozzetto di Fedele Fischetti rappresentante Alessandro Magno col suo medico Filippo (fig.16) utilizzato per un affresco di Casa Calenda successivamente staccato per i lavori di allargamento di via Mezzocannone ed oggi custodito nel museo di Capodimonte ed una Decollazione di un santo (fig.17) eseguita da Lorenzo Vaccaro, contaminando elementi cronologicamente disomogenei, quali un martirio che non ebbero seguito dopo l’Editto di Costantino ed un minareto che ci sposta di oltre tre secoli in avanti.
L’Ottocento è ben rappresentato da Gonsalvo e Giuseppe Carelli a Teodore Duclere e Nicola Palizzi, ma un palmo più degli altri svettano una Costiera amalfitana (fig.18) firmata, di Pitloo ed uno spettacolare acquerello di Richardson (fig.19) raffigurante la Costa di Posillipo, un angolo di paradiso sconvolto dalla speculazione edilizia.
Concludiamo questa carrellata sorvolando su altri trenta dipinti di autori quasi tutti celebri per descrivere la tela alla quale il proprietario è più affezionato e che veglia le notti sue e della sua gentile signora: una Madonna col Bambino, dolcissima, da taluni attribuita al Murillo, forse più modestamente copia da Solimena, come ritenuto da Ferdinando Bologna, in ogni caso un’immagine gentile che concilia il sonno ed invita a buoni propositi.
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(I sigg. Della Ragione)
(Fig.4)
(Fig.5)
(Fig.6)
(Fig.7)
(Fig.8)
(Fig.9)
(Fig.10)
(Fig.11)
(Fig.12)
(Fig.13)
(Fig.14)
(Fig.15)
(Fig.16)
(Fig.17)
(Fig.18)
(Fig.19)