LA SCOPERTA DELL'EUROPA
Li Romani locchi locchi,
stanchi de guarda' li colli,
che "So' sette, sì, va bene",
disse er console annoiato,
"Ma varrebbe un dì la pena,
de vede' nel transalpino,
si ce stanno cose nove".
Detto fatto, gambe in spalla,
superarono le cime,
conoscettero le nevi
delle Alpi gallicine.
Giunti infin dall'altra parte,
incontraron gente strana,
che con corna de montone,
je gridava cose astruse.
"Ma che dicheno 'sti ceffi?
Parlan senza le vocali
un linguaggio da maiali?"
Poi salirono su in cima,
oltre il fium poi detto Senna,
a incontrar altri servaggi,
peggio de quell'altri prima.
Questi, nudi ed agitati,
je lanciavano li sassi,
e dipinti blu cobalto,
je facevan facce strane,
digrignavano li denti,
je mostravano li culi
a vedelli puzzolenti,
e parlavan pure questi,
com del resto fan tutt'ora,
con parole fatte in kappa,
hacca, wu e xurjgnappa.
Ma la guida je tradusse:
"Stanno a di' che tra millenni,
ve faranno paga' caro,
d'esse mejo de lor altri,
ve faranno le sanzioni,
p'esse troppo spendaccioni,
e l'Europa che or scoprite,
e che pur civilizzate,
col diritto, e co' la lingua,
coi teatri e co' le strade,
non sarà riconoscente.
Cercheranno in tutti i modi,
d'umiliarvi da sconfitti,
da un concetto superiore,
in cui vince non l'ingegno,
ma il cretino traditore.
Maurizio Silenzi Viselli