Già nell’antico Egitto si banchettava in onore del defunto. La tradizionale festa funebre è stata celebrata fino ai nostri giorni: a New Orleans, ad esempio, si accompagna il feretro con un’orchestra Jazz.
Con la decisone di realizzare il 3° Megalotto Sibari Roseto, dal costo sovrumano di 1 miliardo e 200 milioni, senza, Dioneguardi, procedere al semplice raddoppio del tratto già ammodernato, si è anche decisa la definitiva morte delle vestigia di Sybaris arcaica presenti, come da me evidenziato, sul criminale tracciato (“Sibari, questa sconosciuta?”; conferenza al Museo della Sibaritide e pubblicazione a cura del Rotary).
Naturalmente, dato il prestigio del caro estinto, le onoranze funebri saranno di altissimo livello.
Per la musica si sono chiamati i migliori tromboni in circolazione. Il protocollo delle manifestazioni vede le loro due firme in testa al manifesto.
Per le campane saranno radunati tutti i “suonati” interessati territorialmente al clamoroso scempio storico, culturale, economico e turistico.
Il capobanda sarà, manco a dirlo, quello stesso Oliverio che, dopo aver assistito alla mia conferenza sulla posizione nel tracciato della famosa città (ricordiamolo: la più grande dell’occidente arcaico), ne promise la divulgazione nelle scuole; fregandosene, sempre manco a dirlo, subito dopo.
Per le libagioni ed i crapuloni banchetti in memoria della scomparsa, ci si è già apparecchiati per tempo. Anzi, in questo caso si è deciso de magnà prima, durante e dopo.
Si tratta di un funerale sibarita nel senso più sfondato del significato figurato di lusso eccessivo normalmente accreditato al termine.
Del resto l’ostentazione di un scialo sbracato è sempre stato tipico dei grandi cafoni. In questo caso, da manuale del perfetto zoticone insolente: somme cosmiche, spese in modo, non solo inutile, ma devastante.
Diciamo che la si fa proprio per dar corso e sfoggio alle “cerimonie” funebri.
La notizia preventiva di possibile reato di scempio archeologico è stata già data e divulgata in numerosi articoli di stampa; per gli altri ci sarà tutto il tempo.
Riconosciamo pure, per carità di Patria, che la situazione di fame è quella che è. Lo stesso Dante ne riconosce con compassionevole indulgenza le insopportabili fitte quando, vedendo il Conte Ugolino sollevare la bocca dal fiero pasto del cranio che stava rosicchiando, gli riconosce che il digiuno è più forte del dolore che si prova a compiere un misfatto.
E questi poveri analfabeti sono digiuni da tempo, non solo di banchetti, ma anche di cultura e di amore per la loro terra.
Maurizio Silenzi Viselli