Come oggi nacque nel 1943 Lucio Dalla, una data che è anche il titolo di una delle sue canzoni più famose, un musicista di grande spessore, morto purtroppo prematuramente e che non verrà certamente dimenticato. Personalmente ne ho un ricordo molto particolare che risale a circa 50 anni fa, quando suonavo con l’orchestra da ballo STAR DUST e con i miei compagni mi esibivo nei dancing soprattutto in Svizzera, dove risiedevo e nelle vicine Germania e Francia. Alla fine degli anni ‘60, non ricordo bene l’anno l’agenzia per la quale lavoravamo ci propose di accogliere in qualcuna delle nostre serate dei giovani cantanti emergenti italiani per fargli fare un po’ di esperienza all’estero. Fu il periodo in cui conobbi tanti cantanti che ebbero poi un effimero successo, altri invece divennero poi degli autentici big, ricordo “Giovanna” Nocetti, conosciuta dal grande pubblico col solo nome di battesimo, Umberto Tozzi, appena un ragazzino che suonava bene la chitarra nel gruppo di Adriano Pappalardo, Rosanna Fratello ed altri, fra questi ci capitò anche quello che sarebbe diventato il grande LUCIO DALLA. All’epoca questi giovani emergenti erano rappresentati da un impresario milanese che ogni tanto dava qualche serata anche a noi in Germania dove ci presentava come gruppo proveniente dall’Italia, così tirava un po’ di soldi in più per le spese di viaggio, quindi a nostra volta ogni tanto dovevamo fargli qualche “favore”.
Lucio aveva partecipato già al festival di Sanremo con scarso successo, ma fra noi giovani era abbastanza conosciuto per la sua partecipazione al gruppo dei Flippers, una band più che altro jazzistica nella quale cantava e suonava il clarinetto (cliccare qui per un video del 1965),
al grande pubblico, però, era praticamente sconosciuto, erano i tempi in cui furoreggiavano ancora Taioli, Villa, Iula de Palma, Betty Curtis ed altri rappresentanti del canto melodico, Mina e Celentano erano agli inizi, all’estero ancor più che in Italia della musica pop italiana, si conoscevano solo le canzoni di Modugno e di pochi altri, era ovvio quindi che i giovani portatori di un nuovo modo di far musica fossero degli emeriti sconosciuti e Lucio era uno di questi.
(Foto: La Star Dust con Rita Pavone 1973) Giunse in treno, alla stazione di Zurigo andammo ad accoglierlo in macchina l’organizzatore delle serate, un mio collega ed io. Appena scese lo riconoscemmo subito per la sua “coppola” e la statura non proprio gigantesca, era stanco e lo accompagnammo subito al dancing dove la sera successiva dovevamo esibirci e dove gli era stato preparato un alloggio per evitare spese di albergo. Scambiammo poche parole e lo lasciammo col proprietario. Il giorno dopo nel pomeriggio andammo a provare l’impianto, e lui fece una breve apparizione volle il nostro programma e ci disse che avrebbe cantato qualcuno dei brani del nostro repertorio, molte canzoni americane e qualche pezzo italiano del momento, e aggiunse che se glielo permettevamo avrebbe avuto piacere di suonare con noi alla tastiera o al sax. Devo dire che insieme a Franco, batterista e mio coetaneo, fummo gli unici del gruppo ad accogliere bene la sua proposta, gli altri, soprattutto il sassofonista, siculo sui 40, fecero delle smorfie di disappunto, ma poi dovettero ricredersi.
Dopo qualche ora cominciammo il nostro repertorio e Lucio se ne stava dietro le quinte taciturno, quando arrivò il suo turno, come stabilito, lo presentai con entusiasmo, come un talento della musica giovane italiana, cantò un paio di canzoni, ma il pubblico non è che dimostrò grande entusiasmo, continuammo come al solito la serata, e ad un certo punto ci chiese di poter suonare, così gli lasciammo campo libero, si mise alla tastiera e cominciò a suonare e cantare da solo le sue canzoni. I più giovani salirono sul piccolo palco e insieme a noi se ne stettero li ad ascoltarlo incantati, come dimostra la foto che conservo ancora, andò avanti per quasi un’ora, poi gli demmo il sax e suonò con noi fino alla fine di quella che per me rimane una delle più belle serate musicali della mia vita di “manovale della musica” come mi sono sempre definito.
Rimase con noi anche dopo, mangiammo insieme al piccolo bistrot del dancing, ci raccontò della fatica che aveva fatto per poter entrare nella casa discografica che lo stava producendo, ci disse della sua amicizia con Tenco e con Paoli e poi lo lasciammo andare a dormire, nessuno di noi avrebbe mai immaginato che sarebbe diventato un grande della musica italiana di ogni tempo. Grazie Lucio per quello che hai lasciato a tutti noi appassionati di musica viva; se l’aldilà esiste, sicuramente hai continuato a creare musiche celestiali accompagnato dai tanti amici che ti hanno preceduto. Il ricordo del nostro fugace incontro è sempre presente in me, ed è la prima volta che ne faccio partecipi voi amiche ed amici amatissimi che mi seguite e mi volete bene. Grazie per l’attenzione.
Antonio M. Cavallaro