Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 22,34-40. - In quel tempo, i farisei, udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova:
«Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?».
Gli rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente.
Questo è il più grande e il primo dei comandamenti.
E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso.
Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».
COMMENTO DI DON MICHELE MUNNO
XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – A
29 ottobre 2017
Anche l’inizio del brano evangelico di questa domenica è caratterizzato dall’annotazione che i farisei si riuniscono per mettere alla prova Gesù.
È un’annotazione ripetuta ed è particolarmente amara perché evidenzia come coloro che si ritengono giusti e giudicano gli altri, coloro che vivono una religiosità apparente e ipocrita si riuniscono, si coalizzano più facilmente, per creare problemi a Gesù e per screditare il suo insegnamento piuttosto che per confrontarsi sulle provocazioni che Gesù gli offriva continuamente per il loro bene e per la loro salvezza. Ci si coalizza più facilmente per difendersi dal Bene che per confrontarsi con la proposta di vita buona e scomoda che Gesù presenta con il suo insegnamento e con la sua stessa vita!
La domanda, che uno di loro pone a Gesù, va dritta al cuore, al nucleo della religiosità ebraica: nella moltitudine di comandamenti e di precetti (248 precetti e 365 proibizioni), questo fariseo chiede a Gesù qual è, nella Legge (in gioco per ciò c’è davvero il “cuore” del fariseismo), il “grande” comandamento.
Amare è avere l’altro nel cuore. Siamo fatti per amare perché Dio ci ha fatti a sua immagine e somiglianza.
Nella sua risposta, che mette insieme non soltanto la Legge, i primi cinque libri della Bibbia ebraica, ma anche i Profeti, Gesù tesse insieme l’amore di Dio e l’amore del prossimo, immagine di Dio, che porta in sé l’iscrizione del nome di Dio e che, pertanto, come abbiamo ascoltato nel Vangelo di domenica scorsa, è necessario “rendere a Dio”.
È proprio in questa linea, che chiarisce che l’uomo non può essere separato da Dio, e che ogni ingiustizia compiuta verso un uomo è un oltraggio a Dio stesso, che ascoltiamo nella prima lettura, tratta dal Libro dell’Esodo: «Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Non maltratterai la vedova o l’orfano. Se tu lo maltratti, quando invocherà da me l’aiuto, io darò ascolto al suo grido, la mia ira si accenderà e vi farò morire di spada: le vostre mogli saranno vedove e i vostri figli orfani. Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all’indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse. Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai prima del tramonto del sole, perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? Altrimenti, quando griderà verso di me, io l’ascolterò, perché io sono pietoso».
L’uomo, che porta in sé l’immagine di Dio e la sua iscrizione, è il volto visibile di Dio che il “grande comandamento” prescrive di amare “con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”.
I tratti di questo “volto visibile” di Dio, secondo il Libro dell’Esodo, sono ancora più chiari quando questo uomo, che porta in sé l’immagine e l’iscrizione di Dio, ha i tratti del forestiero, della vedova, dell’orfano e di qualunque oppresso!
L’amore, prescritto dal “secondo” comandamento che è “simile al primo”, perciò, diventa la traduzione concreta di quell’amore prescritto nel “grande comandamento”. L’uno è impossibile senza l’altro!
Il comando è duplice: amare Dio e il prossimo, perché solo amando il Padre e i fratelli si diventa ciò che si è: figli. Così noi possiamo raggiungere la nostra identità, sanando la “rottura” originaria tra Dio, noi stessi, gli altri. L’amore è il compimento della Legge perché ci rende simili a Dio e figli “perfetti come il Padre”.
Qualunque amore verso Dio che non si traduca concretamente verso l’amore del prossimo è pura astrazione religiosa.
Qualunque amore verso il prossimo che non conduca all’amore verso Dio diventa ideologica sociale e porta, prima o poi, a ricercare semplicemente il proprio compiacimento, il proprio tornaconto e il proprio interesse!
Che il nostro amore verso Dio si traduca in cura verso ogni fratello e che l’amore del prossimo sia una vera lode a Dio, secondo quanto affermava spesso Santa Teresa di Calcutta: “Lo facciamo per Gesù”. Amen.
Nell'allegato il Foglio Informativo settimanale della Parrocchia di San Giuseppe in Sibari