Nasceva nella notte fra il 19 e il 20 aprile del 1492, e quindi proprio assieme al Rinascimento, Pietro Aretino, figlio illegittimo di un calzolaio e di una donna che faceva la modella per artisti e la prostituta all’occasione.
Testardo, irriverente, scandaloso, Pietro Aretino è diventato sinonimo di licenziosità. Fu poeta erotico. No, poeta erotico è poco: Aretino fu il poeta del sesso, così esplicito, così vitale e gioioso, così centrale che ancora oggi si mangia a colazione tutte le signore delle sfumature di grigio e se ci si mette è in grado di far arrossire con due versi ben piazzati pornostar e divi hard.
Le poesie di Aretino sono esplicite, ma soprattutto, e questo andrebbe detto, sono ben scritte. Perché Pietro è innanzitutto un ottimo poeta, che non sbaglia un verso e sa usare la metrica come un fioretto. Non parlassero di sesso, sarebbero usate come modello di struttura e di costruzione.
Ma parlano di sesso, e tanto, e soprattutto in un modo poco accettabile per la società perbene di ogni tempo: ne parlano, infatti, in maniera divertente. In Aretino non c’è colpa, non c’è pentimento, e per questo non ci sono nemmeno perversioni. C’è un mondo che fa sesso perché il sesso è vita, e piacere, è gioco, è una forza primigenia che prende tutto e tutti, e non ci sono barriere sociali, morali, religiose che possano arginarlo.
Aretino non è un erotomane, è un anarchico. Ama il sesso perché odia il potere costituito. Per questo aveva iniziato a Roma come Pasquino, scrivendo poesie satiriche contro i Papi. E poi invece ha capito che la politica e la società hanno più paura del sesso che delle critiche, perchè quelle le possono controllare e il sesso invece no.
Omosessuale dichiarato, furbo nel fare affari, visse come volle trovando asilo a Venezia, perché Venezia era la città più vicina al suo sentire: non solo godereccia ma sostanzialmente indifferente a come tutti volevano vivere la loro vita. Fu amico di Tiziano e di altri artisti, fu, come diceva lui, il figlio di una cortigiana con l’animo di un re. Sarebbe stato scomodo in ogni secolo, ma lui sapeva adattarsi bene alle circostanze e volgerle a suo favore, godendo per altro parecchio dell’invidia degli altri letterati, spesso non meno ossessionati di lui dal sesso, ma più ipocriti.
Fu un grande, insomma. E meriterebbe forse di più. Ma ho come l’impressione che lui degli elogi post mortem riderebbe di gusto, e suggerirebbe a tutti noi di andare a farci… Be’ lo sapete.
Mariangela Vaglio
da: Il mondo di Galatea