Sono stato emigrato anch'io, ed i primi mesi non sono stati rose e fiori. Dormivo in una baracca, una stanzetta con 4 letti e quattro tavolinetti su cui poggiare la valigia e qualche altra suppellettile, la doccia era in un altro locale e bisognava uscire all'aperto per raggiungerlo. In quella baracca c'erano 18 stanzette come la mia e due bagni (cessi alla turca con un lavandino) posti alle due estremità del corridoio centrale. Di baracche come la mia ce n'erano una trentina se non ricordo male e al centro di questa specie di lager c'era uno spaccio dove si vendeva di tutto a pochi soldi e la mensa dove si poteva consumare un pasto discreto per qualche spicciolo. Eravamo tutti operai di una grande fabbrica e, tutto sommato, non si stava malissimo, c'erano i riscaldamenti centralizzati con termosifoni, ma era sempre una baracca di legno, ben costruita certo.
Eravamo pagati meno dei locali, lo abbiamo capito subito, ma non a livelli di fame, facevamo i turni per la doccia, che consisteva in una stanza con una ventina di getti dove la privacy era inesistente, e lì solo chi era "tosto" stava in piedi, cari amici.
Io ero già grandicello avevo 26 anni, ma c'erano ragazzi di 18 anni che di sera piangevano come bambini e tu dovevi stare lì a consolarli, e se gli dicevi perchè non torni a casa tua, rispondevano che giù (In Italia non solo al sud ma anche in veneto, valli bergamasche, umbria, marche ecc) c'era una famiglia con 3 o 4 fratellini piccoli che aspettavano il loro aiuto. Rimasi lì giusto il tempo per imparare un po' di tedesco e poi trovai qualcosa di più decente, ma quell'esperienza non l'ho mai dimenticata e lì ho conosciuto gente vera, seria, determinata, uomini e ragazzi con le palle.
Molti hanno vergogna di raccontare queste cose, gente che in quelle baracche è rimasta per decenni e che ogni tanto andavo a trovare quando mi trovavo a passare da quelle parti. Gente che ha fatto laureare i figli a costo di sacrifici indicibili, gente che mangiava solo uova, pane e latte per risparmiare il massimo da mandare a casa. Gente che l'unica carne che conosceva era quella delle anitre di fiume che prendevano al laccio la domenica mattina rischiando pesanti multe se venivano beccati dalla polizia. Cari concittadini calabresi furono momenti difficili ma tutto sommato superabili, ora in alcune zone della nostra terra si ha bisogno di mano d'opera a basso prezzo come quella, perchè non si costruiscono degli alloggi più decenti? perchè le autorità invece di blaterare cazzate non vanno sul posto e distruggono quelle organizzazioni malavitose che sfruttano queste persone? non sarebbe difficile, ne sono sicuro, ma si andrebbe contro gli interessi dei padroni di quelle terre che ingrassano con il lavoro molto sottopagato e protetti dalla 'ndrangheta che tiene sulla corda loro e i poveretti lavoranti stranieri. La verità è che siamo un popolo di niente, non abbiamo il coraggio civile di ribellarci, ognuno chiuso nelle sue comode quattro mura, dimentichi di quel che hanno subito i padri e i nonni. Dimentichi o inconsapevoli di come si viveva nei Centri Storici tanto decantati oggi, non si vuole ricordare la promiscuità in cui moltissimi vivevano: una stanza per 10 persone, senza bagni e talvolta senza acqua corrente e non sto parlando di secoli fa, ma di appena 50, 60 anni fa, posti da cui si scappava all'estero magari sottopagati, ma con un lavoro e tanta speranza nel cuore. La stessa speranza di quelle persone che rischiano di morire in mare pur di giungere in un posto dove poter lavorare e guadagnare quel tanto che basta per se e per le famiglie lontane e non si aspettano certo di essere uccise e braccate come agnelli da lupi mannari.
La nostra agricoltura cosiddetta "di qualità" finirebbe in un amen se non ci fossero questi "schiavi" a raccogliere frutta, olive ecc ecc per 15 - 20 euro al giorno, soldi dai quali spesso vengono detratti 100/150 euro al mese per alloggi fatiscenti, non ci credete? Scendete nella Piana di Sibari, entrate in quelle stradine sterrate che portano a casolari dispersi fra i campi e ve ne renderete conto da soli, sempreché riusciate a raggiungerli, perchè catene e sbarre impediscono spesso di proseguire. Non c'è bisogno di andare a Gioia Tauro, lì il fenomento è più evidente, quì è più nascosto, ma c'è e come.
Ripensando ai miei primi tempi da emigrato mi sento umiliato, offeso, vilipeso per il brutale omicidio del giovane africano, sono SOUMALIA anch’io.
Antonio Michele Cavallaro