All'interessante articolo del dott. Giuseppe Aloise, facciamo precedere una nota del giornalista spagnolo Ignazio Perez Diaz che dà il suo condivisibile parere sul fenomeno del "populismo" citando un commento dello scienziato politico olandese Cas Mudde. (la redazione)
<<Quando attualmente si menzionano i limiti e le carenze del sistema rappresentativo, o si fa riferimento alla crisi dei partiti politici tradizionali, il populismo inevitabilmente si trova al centro della discussione, in quanto è onnipresente in quasi tutte le democrazie mature, che si sta sperimentando in Europa negli ultimi anni. Tuttavia, nonostante la ricorrenza del termine, questo continua ad essere un "concetto contestato", poiché si usa ampiamente per accogliere un'ampia varietà di manifestazioni politiche, il che rende difficile la sua definizione. In questo senso, lo scienziato politico olandese Cas Mudde, ci fornisce una spiegazione la più completa possibile, cioè populismo inteso come ideologia sottile o minimalista, nucleo poroso, capace di aderire ad altre forme più dense, che si caratterizza principalmente nel "considerare la società divisa fra due gruppi omogenei e antagonisti, "il popolo puro" contro "l'elite corrotta" - e che sostiene che la politica dovrebbe essere l'espressione della volontà generale della gente">>
Sabino Cassese in un suo recentissimo editoriale sul Corriere dal titolo “I populisti diventati d’èlite” ha sottolineato che i gialloverdi al governo “amano fregiarsi dell’aggettivo di populisti” e rifiutano l’idea che, essendo al governo, essi stessi sono diventati “èlites”. Cassese richiama poi un’efficace considerazione del grande sociologo-economisa Vilfredo Pareto: "La storia è un cimitero di èlite".
I gialloverdi si ostinano a non prendere atto che non sono più forza anti-sistema nel senso che non possono più contestare le aristocrazie dominanti per una considerazione abbastanza evidente: gli equilibri sui quali si reggeva il governo ante 4 marzo sono stati sconfitti ed una nuova classe politica è al governo del paese. Sono essi, ora, l’èlite dominante.
Per trovare un’analogia con quanto sta accadendo in Italia forse bisogna richiamarsi ad un’esperienza messicana ove per circa 70 anni fino al 2000 il paese è stato governato con metodi dittatoriali da un partito che continuò a chiamarsi “Partido Nacional Revolucionario”.
E, dunque, si può essere forza di governo ma si è costretti a dirsi sempre populisti contro le èlites perché senza la dicotomia “noi e loro“ i consensi potrebbero affievolirsi.
A questa peculiarità si aggiunge un’ulteriore novità che caratterizza il nostro laboratorio politico.
Penso sia stato Massimo Giannini ad introdurre un suggestivo neologismo politico: il bi-populismo.
Di solito, se vincono i cosiddetti populisti, al governo si installa un solo partito populista egemone. In Italia sperimentiamo due forze populiste al governo: Lega e 5 Stelle, partiti o movimenti che non hanno una radice comune e che si sono presentati all’elettorato con programmi non omologabili. E, dunque, il governo sperimenta una forma di bi-populismo conflittuale forse anche imperfetto.
La conflittualità che sperimentiamo non prelude necessariamente ad una rottura sicché questa forma di governo può essere ricondotta ad un bi-populismo imperfetto.
Le posizioni divergenti, i primi atti di governo, il conflitto con l’Europa, l’irruzione sulla scena politica del compagno Spread, avrebbero dovuto comportare un calo dei consensi al governo ed una crescita dei partiti di opposizione. Invece la lega sale oltre il 36% (!!) ed il PD resta inchiodato al di sotto del disastroso risultato del 4 marzo. Manca l’alternativa e quindi i due populismi rischiano di essere “costretti” a governare, di qui il bi-populismo imperfetto ovvero senza alternativa!
Il dibattito pre-congressuale del PD non ha evidenziato una severa autocritica del passato né ha delineato una prospettiva politico-programmatica per contrastare le attuali forze di governo. Per sconfiggere il bi-populismo imperfetto bisogna accreditarsi come forza di governo.
Non c’è la consapevolezza che l’appeal del PD sia del tutto marginale perché il gruppo dirigente è rimasto immutato nell’illusione che basti rimuovere l’esperienza di Renzi per essere il “nuovo”. Limitarsi ad agitare i nobili temi della sinistra storica significa non misurarsi con i profondi cambiamenti intervenuti nella nostra realtà economico-sociale né con l’esigenza di novità e di cambiamento.
Non è tempo di polemiche personali verso i candidati, ma ritengo dirimente per il prosieguo trasmettere un messaggio di reale cambiamento per non essere più percepiti, come sottolinea Minniti, come antropologia aristocratica. Se saremo, invece, percepiti come altro rispetto al popolo, gli attuali populisti governeranno ancora per molto o, se si andasse al voto anticipato, la scelta sarebbe circoscritta ai due populismi (lega e 5 Stelle ).
Nel Sud la regressione economico-sociale esigerebbe una forte presa di coscienza della necessità di intervenire con programmi adeguati alla complessità della crisi che viviamo. Minniti forse più degli altri, per essere un uomo del Sud, potrebbe favorire un nuovo inizio per politiche più efficaci e risolutive
In Calabria noi abbiamo, infine, una grande occasione per uscire dalla nostra marginalità che è anche politica. Dopo la scomparsa dei leader del passato, noi calabresi abbiamo svolto una funzione ancillare. Anzi con la scelta delle candidature operate al centro i micro-leader locali hanno accentuato tale atteggiamento di subalternità.
Marco Minniti, al di là di alcune posizioni che inevitabilmente non possono raccogliere il consenso di tutti, offre ai calabresi la possibilità di recuperare un ruolo significativo all’interno del Partito. Basterebbe solo questa considerazione per superare divisioni e contrapposizioni che appaiono irrilevanti rispetto a questo sforzo di recupero di dignità sul piano politico per la nostra regione.
Giuseppe Aloise