(Foto: Ferruccio de Bortoli) Gli studiosi, i politici, i sociologi, e tutti coloro che siedono in cattedra, hanno avuto e hanno dei modelli ai quali ispirarsi e seguirne la scia dottrinaria nel loro lavoro quotidiano.
Per esplicitare meglio il mio dire: aggiungo che i compagni citano Marx, Gramsci ed altri esponenti della sinistra; altri si ispirano a determinati filosofi, altri alla tradizione cattolica, altri ancora alla destra storica. Il sottoscritto non appartiene a nessuna delle citate categorie, in quanto modestissimo giornalista di provincia, e col dovuto rispetto, mi ispiro alla serietà professionale dei protagonisti del giornalismo italiano, inglese e americano in quanto ognuno di loro ha vissuto una personale esperienza culturale, professionale e formativa. In Italia penso -immodestamente- a Indro Montanelli, a Giorgio Bocca, al fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari, Enzo Biagi, Walter Tobagi, Paolo Mieli e a tanti altri.
Personalmente sono particolarmente legato, idealmente e a distanza, a Ferruccio de Bortoli il quale continua l’attività giornalistica sul Corriere della sera e su altre testate, scrivendo di economia e di attualità da profondo ed equilibrato conoscitore della materia che, volta per volta, tratta.
Recentemente mi sono collegato a un webinar al quale partecipava in qualità di relatore de Bortoli, il quale ha ragionato sulla ecologia delle parole: mi sono particolarmente incuriosito ed ho approfondito l’argomento trattato.
Molto spesso alcuni parlano, scrivono e pontificano da vari pulpiti laici, riportando gli stessi concetti, senza approfondire il significato delle espressioni che pronunciano -già ribadite da tanti altri presunti personaggi- senza che gli stessi conoscano il significato autentico di ciò che dicono e soprattutto quale impatto le stesse parole possano avere nei confronti dell’interlocutore.
Approfondendo la questione devo evidenziare che de Bortoli non è un glottologo di professione, e nemmeno uno studioso della lingua italiana o un sociolinguista come la brava professoressa Vera Gheno che, per l’appunto, è una sociolinguista abbastanza in gamba: per le questioni strettamente linguistiche si può fare riferimento al prof. Antonelli.
De Bortoli, invece, essendo una persona seria e preparata, lo è anche come giornalista, e penetra all’interno delle parole non facendo soltanto l’analisi semantica, ma approfondendo il lemma, il sostantivo, l’aggettivo in relazione all’altro: alla gente comune, ai professori e alle persone meno acculturate.
A questo punto mi torna in mente quell’apprezzato Gruppo di studio della Sociologia per la persona, lanciato e voluto dal compianto professor Achille Ardigò, Vincenzo Cesareo, Luigi Berzano, Giuseppe Giordan, Tito Marci, Stefano Tomelleri e a tanti altri docenti di università italiane che studiano e promuovono continue ricerche sul campo; essi approfondiscono inoltre le tematiche sociologiche legate alla persona e al rispetto che bisogna avere per le persone più deboli. Mi sovviene, inoltre, che il prof. Enzo Bova dell’Unical fa parte di tale gruppo di studio della sociologia per la persona, ed è referente per la Calabria.
Torniamo a de Bortoli. Giada Lonati (nella foto a lato) ha pubblicato per Corbaccio, Prendersi cura, (pp.238, euro 14.90) con una prefazione, appunto, di Ferruccio de Bortoli. Giada Lonati si interessa di cure palliative ed è direttrice sociosanitaria di Vidas onlus.
<Il sostantivo femminile <cura> ha molteplici significati. Ma non sfugge -scrive de Bortoli sul Corriere della sera- che abbia la stessa radice di cuore. La medicina è giustamente concentrata sulla malattia. (…) Nel suo fascicolo sanitario (del malato) non compare il suo stato d’animo, né viene misurato il rispetto dei suoi diritti, della sua dignità di paziente e cittadino>. Queste sono le parole di de Bortoli per definire -non in senso linguistico- il significato di cura, dal punto di vista della persona e segnatamente per chi soffre. Nelle società evolute della medicina si bada anche alla < preparazione umanistica e del senso civico di tali operatori sanitari che sono particolarmente attenti alla psicologia dell’assistito, al rispetto della sua dignità, dei suoi diritti. Tra questi vi è anche il diritto di conoscere la malattia di cui soffre>.
Rassicurare l’assistito cosa significa? <Anche il verbo rassicurare ha nella propria etimologia quella cura intesa come preoccupazione, ansia, inquietudine. Rassicurare vuol dire tranquillizzare, togliere il pensiero ossessivo del male> chiarisce ancora de Bortoli, e continua osservando che le cure mediche non sempre guariscono <ma esistono per fortuna altre cure che non sono mediche. Sono le cure del cuore, dell’ascolto, dell’affetto e della semplice misura della cortesia personale, (…) una parola, una carezza, una mano sfiorata>.
E ora passiamo al saluto ecologico! A volte salutiamo con <“salve” oppure “ciao”: ciao sembra più amichevole e fraterno mentre il “salve” tiene a distanza l’altro; il primo è parente del “tu”; il secondo del “lei”>. E allora, aggiunge l’autore, <che i gesti di cura sono sentieri verso la salvezza. La persona che ha rispetto del dolore dell’altro ne assume idealmente una parte. La porta su di sé. E’ il cireneo lungo il Calvario>. <Noi potremmo aggiungere che chi cura, o meglio assiste un malato è idealmente al capezzale di tutte le persone sofferenti del mondo. Perché il suo è un esempio contagioso. Il contagio del bene, è la virtù civica che si espande senza confini. (…) Un detto ebraico dice che chi salva una vita salva il mondo>.
Concludendo, l’ecologia delle parole di Ferruccio de Bortoli ci insegna anche -così, semplicemente- l’ecologia del noi verso l’altro, specialmente quando l’altro è una persona che soffre.
Grazie Ferruccio de Bortoli, per la semplice ma efficace…ecologia dell’anima.
Martino Zuccaro