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Alcune illustri considerazioni sulla debacle del PD

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Del risultato elettorale negativo del PD, gli unici a non essersene accorti (o fanno finta?) sono proprio i dirigenti, per i quali addirittura pare vada bene così (incollati come sono alle cadreghe del parlamento). Pubblichiamo di seguito due punti di vista, per certi versi concordanti, di due illustri amici: Giuseppe ALOISE e Mario SIRIMARCO, Politico di lungo corso il primo e Professore presso l'università di Teramo il secondo. Siamo sicuri che i nostri webnauti apprezzeranno.

IL PD E LE ANIME MORTE

Un attento notista politico che scrive su Repubblica- Edizione Napoli- ha osservato che il Partito democratico è “prigioniero di un narcisismo impotente”. Un gruppo dirigente ripiegato su stesso che si compiace del ruolo che svolge facendo finta che la sconfitta elettorale appartenga ad altri. Un partito, stranamente, distante dalla lotta alle diseguaglianze che invece dovrebbe essere la sua “bandiera identitaria”.

Il gruppo dirigente del Partito che appare in TV e le “figurine” che intervengono nel dibattito parlamentare richiamano alla memoria un capolavoro della letteratura russa: le anime morte di Gogol.

La rappresentazione di Gogol potrebbe essere utilizzata pari pari per rilevare in modo metaforico e fantastico l’essenza vera dei dirigenti di prima linea del PD.

Come chiamare questi “leader” (per fortuna non tutti – anzi si registrano lodevolissime presenze ma poco valorizzate) distanti dai problemi veri, ma sempre sorridenti e con le sembianze accuratamente levigate (solo Letta trasmette pathos e ricerca di un pensiero politico), se volessimo tentare un’allegoria del vuoto e del non essere?

Ci sorreggerebbe senz’altro il richiamo alle anime morte.

Presenze, queste, come le anime morte, vive solo ai fini fiscali. Ci vorrebbe qualcosa capace di esprimere un gesto in grado di rivitalizzare il desolante paesaggio del PD, come quello della Russia descritta da Gogol.

Il Congresso non potrebbe affrontare il problema e decidere di ipotecare queste anime morte e con il ricavato comprare anime vive?

Ma si nutrono seri dubbi che ciò possa accadere. Ma è lecito sperare!

Giuseppe Aloise

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Verso un paese normale? Possibile lo schema Conservatori vs Democratici, con i Popolari ancora protagonisti?

È bene che ci si avvii verso una democrazia compiuta. Certo, il Pd che avrebbe dovuto costituire il punto di riferimento per una alternativa alla Destra, ha sbagliato tutto ciò che c’era da sbagliare. Occorre, quindi, che questo partito sia ricostruito o rifondato (eventualmente passando da un suo scioglimento). E si deve necessariamente affrontare il tema della presenza e del ruolo di un centro, popolare e cattolico democratico, orgoglioso della sua ispirazione e dei suoi riferimenti culturali, senza il quale il Pd rischia di essere altra cosa.  

La vittoria della Destra (e direi i primi passi istituzionali della sua leader riconosciuta) può rappresentare l’ennesima occasione di far maturare democraticamente il nostro sistema politico grazie alla creazione di un vero partito conservatore, dopo il fallimento delle altre esperienze del passato più o meno recente.

La Democrazia cristiana, come è noto, non è mai stata (e non poteva essere) un partito conservatore sia per il contesto storico-politico in cui ha operato, sia per la caratura e la formazione della sua classe dirigente “di pensiero”. Geneticamente la DC ha mantenuto fede alla visione degasperiana di un partito di centro che guardava a sinistra neutralizzando, assorbendo, sterilizzando, marginalizzando le istanze conservatrici pur presenti, probabilmente anche maggioritariamente, nel suo ventre.

Berlusconi, mettendo insieme un centro che guardava a destra e che anzi si assumeva l’onere di sdoganare e legittimare una destra di governo, ha fallito la sua missione di una rivoluzione liberale perché incapace di uscire dalla logica del partito-azienda pensato, strutturato e utilizzato soprattutto come strumento per la tutela di interessi e privilegi personali. 

Il tentativo di Fini di dare vita a una destra moderna ed europea si è infranto non solo sugli scogli degli scandali familiari, ma anche di fronte alla constatazione della presenza ancora troppo forte di Berlusconi, da una parte, e di una destra razzista populista e antieuropea, dall’altra. 

La Meloni può riuscire laddove i suoi illustri predecessori hanno fallito? Lo vedremo nei prossimi mesi, ma già le necessità imposte dall’essere Presidente del Consiglio e di guidare il partito (di gran lunga) maggiore della coalizione hanno “costretto” ad una salutare chiarificazione sulla collocazione internazionale e sui rapporti ambigui col triste ventennio, e hanno posto l’attenzione sulla importanza di selezionare una classe dirigente presentabile (anche se mi sembra, al momento, con esiti non entusiasmanti). 

Vedremo in tempi brevi se sarà stata mera tattica opportunistica o se c’è reale volontà di essere una cosa nuova, vedremo se il confrontarsi con le esigenze del governo avrà la meglio sugli impulsi irrazionali che spesso hanno portato a soffiare sul fuoco acceso dalle diverse emergenze anziché a riflettere sulle possibili soluzioni. 

Per il paese è bene che il tentativo riesca e che ci si avvii verso, finalmente, una democrazia compiuta dove un partito conservatore e un partito democratico si contenderanno il consenso popolare, senza reciproche delegittimazioni e rischi di scenari più o meno apocalittici. 

Si presenta, forse, ancora più complesso, a questo punto, il quadro nello schieramento opposto dove il Pd, che avrebbe dovuto costituire il punto di riferimento per una alternativa alla Destra, data ampiamente avanti in tutti i sondaggi elettorali, ha senza nessuna motivazione politica abdicato in partenza al suo ruolo sbagliando tutto ciò che c’era da sbagliare. 

Enrico Letta (di per sé inadeguato come segretario di partito, pur essendo persona preparata e seria) ha fallito semplicemente perché non ha avuto coraggio…di cambiare vecchie abitudini, di rinnovare classe dirigente, di cercare di modificare una narrazione ormai consolidata nella pubblica opinione che descrive il Pd come apparato di potere, con dirigenti famelici preoccupati di mantenere il proprio status quo (e spesso anche quello dei familiari). Non ha avuto il coraggio di aprire veramente il partito alla società nonostante la intuizione delle Agorà democratiche di cui si è persa ogni traccia.  

La scelta dei candidati nei listini bloccati (tutti legati all’apparato) è stata l’emblema di tutto ciò ed ha contribuito ad aumentare la siderale distanza del partito dai suoi stessi mondi. 

Occorre, quindi, ricostruire o rifondare (eventualmente passando da un suo scioglimento) il Pd perché nonostante tutto rimane punto di perno essenziale, per storia e competenze, per l’alternativa credibile e non improvvisata alla Destra. E, all’interno della questione Pd, si deve necessariamente affrontare il tema della presenza e del ruolo di un centro, popolare e cattolico democratico, orgoglioso della sua ispirazione e dei suoi riferimenti culturali, senza il quale il Pd rischia di essere altra cosa.  Non una presenza marginale da sfamare con qualche accomodamento personale e familiare per famelici e autoproclamatisi rappresentanti, ma come un nucleo pulsante di pensiero e di idee secondo la direttrice indicata dalla sua più feconda tradizione che va da Sturzo a De Gasperi, da Dossetti a Moro, da De Mita a Martinazzoli.

Mario Sirimarco

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